Unghie (parte 2)

Sistemarci per la notte significa innanzitutto mettersi in sicurezza e con il maggior agio possibile, perciò come detto piantiamo sulla parete due chiodi a cui ancoriamo uno spezzone di corda a formare una specie di corrimano. A quest’ultimo infine ognuno di noi aggancia il proprio imbrago, così nel caso durante la notte si scivoli si rimarrebbe alla peggio appesi senza volare in fondo alla valle. Nella piazzola ci stiamo in quattro uno a fianco all’altro, con la schiena appoggiata alla roccia e le gambe penzoloni, per fortuna con i piedi che poggiano su una specie di ballatoio. Con gli ultimi raggi di luce sistemiamo in mezzo a noi il fornelletto che avevamo portato per cucinare al bivacco e nell’unico pentolino prepariamo un minestrone che ci passiamo di mano l’un l’altro. Un po’ di cioccolato come dolce e l’incombenza “cena” è archiviata. Divertente è il momento in cui suona il telefonino di Giorgio che risponde alla moglie senza mai fare riferimento alla nostra situazione:

– Si pronto

……….

– tutto bene

………

– abbiamo appena finito di cenare e tra poco ci sistemiamo per la notte

………

– si te li saluto tutti

……..

– Buonanotte anche a te

Resta di fatto tutto il tempo (sono appena le 21.30) per organizzarci per la nanna ed io, credendo di aver preso il sacco bivacco (una specie di sacco a pelo di nylon che protegge dal vento e tiene un po’ di calore), estraggo invece da un sacchetto un coprizaino erroneamente scambiato. Rocky (che avrebbe dovuto dividere il sacco bivacco con me) è quasi divertito dalla mia espressione ma non è nulla al confronto della mia faccia al momento in cui apro il telo di emergenza oro/argento e questo, rimasto per 10 anni piegato nella cappelliera, si sfalda in decine di coriandoli luminescenti che svolazzano nell’aria. La nostra coppia rimane perciò sguarnita da protezioni per il freddo, ragion per cui indossiamo tutto quello che abbiamo (comprese le mutande di ricambio) e svuotato uno zaino ci infiliamo i piedi dentro. Per fortuna l’altra coppia è meglio attrezzata e, sfruttando il sacco bivacco di Giorgio e la maggior larghezza della piazzola, i due soci possono infilarsi assieme e far fronte così al clima. Per me e Rocky invece il freddo si fa pungente, e nonostante un tè fatto nel pentolino del minestrone con residui di verdure (impensabile sprecare l’acqua che ci deve bastare fino al giorno dopo per pulire il recipiente), le ore che scorrono lente ci vedono abbracciati l’un l’altro a battere letteralmente i denti e a darci delle manate per scaldarci. Ogni ora estraggo la macchina fotografica (erano ancora lontani i tempi dei telefoni con fotocamera) e nel buio totale scatto un flash, documentando come al passare del tempo peggiori la nostra situazione. Guardando le luci in fondo alla valle, le macchine che passano a portata di vista ma lontane da noi (cosa daremmo per un sedile anche scomodo !!) ci raccontiamo di tutto, parliamo a cuore aperto e sebbene congelati e sfiancati non perdiamo mai l’occasione di fare una battuta o di rincuorarci l’un l’altro. Di certo non riusciamo a dormire così l’alba e le prime luci ci colgono decisamente provati. Decidiamo al primo albeggiare che proverò a salire per quella che riteniamo essere la giusta via ma in caso non trovassi riscontri, tornerei indietro e daremmo inizio ad una interminabile serie di calate in corda doppia per tornare alla base. Finchè la coppia Angelo-Rocky sbaracca la nostra “camera con vista” io, assicurato da Giorgio inizio ad arrampicare, nonostante i piedi insensibili non abbiano minimamente percezione degli appoggi e le mani sulla roccia ghiacciata (scoprirò in seguito che quella notte si scese a – 3 C°) chiedano pietà. Per fortuna dopo i primi durissimi metri il sangue riprende a circolare e così nel giro di poco salgo la placca soprastante e con gioia mi ricollego alla giusta via, vedendo poco sopra una sosta attrezzata. Che beffa del destino, qui ci sarebbe stato tutto lo spazio per stare sdraiati e ampiamente riparati, in quanto una grande piazzola avrebbe permesso anche di stare in piedi a camminare per far circolare il sangue. Tant’è, le cose sono andate così ed è inutile recriminare, perciò chiamo gli altri che mi raggiungono felici, tranne Rocky leggermente sbiancato da un volo appena effettuato su un chiodo che gli è rimasto in mano. A questo punto la via ci è chiara ma la nostra lentezza è esasperante; ogni manovra la facciamo al rallentatore e così l’ultima parte di salita che avremmo dovuto fare agevolmente ci impegna per altre 4 ore. Stanchi, affamati e infreddoliti finalmente alle 11 siamo in vetta, al cospetto di quel bivacco che avrebbe dovuto ospitarci e che invece ci vedrà protagonisti di una breve sosta.

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Rocky al bivacco

Ci fermiamo a mangiare qualcosa e a scaldarci al sole. Dobbiamo recuperare forze e grinta, che la discesa non è uno scherzo, ma siamo felici e determinati a scendere in tempo per la cabinovia delle 17 al Rifugio Rosetta. Ce la faremo ? [ to be continued]

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In cima leggermente sconvolto, con Giorgio ed Angelo

 

 

 

 

Unghie (parte 1)

Chi ha avuto la fortunata opportunità di vedere i miei alluci potrebbe ricordarli con unghie nere. Sono spesso dovute all’attitudine tipica dei trail runner alla frutta, di trascinare i piedi dopo un po’ di chilometri con la facile probabilità di urtare pietre e radici responsabili in tal modo della colorazione scura. Nel mio caso questa cosa è parzialmente vera, in quanto anche senza trail le  miei unghie dei pollicioni sarebbero per metà scure, per effetto dei postumi di un’avventura che vi voglio raccontare. Non è mia intenzione sembrare epico o drammatico (rischierei infatti maggiormente di sembrare comico e patetico) ma vorrei dirvi piuttosto dell’eredità di emozioni e di amicizia che mi ha regalato questa uscita di 41 ore vissuta sulle Pale di San Martino.

Tutto inizia nel 2007 quando la mia passione per la montagna si sublimava nella pratica dell’Alpinismo di stampo classico, nel ripetere cioè itinerari di arrampicata su roccia dove le difficoltà non sono quasi mai elevate ma l’ambiente è quello delle grandi pareti. E così in quella stagione, dopo aver percorso in estate vie su Piccole Dolomiti, Sella e Sassolungo, assieme a tre amici e compagni di cordata, appena prima dell’autunno, il 14 e 15 settembre decidemmo di provare a salire la via Langes o via del Pilastro alla Pala di San Martino.

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La Pala in tutto il suo splendore

La peculiarità di questa salita non è data dalla difficoltà ma bensì dalla lunghezza, essendo necessari circa 21 tiri di corda per giungere sopra. E una volta in cima, all’arrampicatore è richiesto uno sforzo non minore per il rientro, in quanto non esiste un facile sentiero che riporti a valle, ma un’ulteriore impegnativo ed esposto tratto. Per fortuna proprio all’apice è posto un Bivacco, il Bivacco Guide di San Martino

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Il bivacco

che altro non è se non una grossa scatola di latta all’interno della quale sono posti due letti a castello ed un po’ di coperte. Può sembrare angusto ma a noi era tutto ciò che sarebbe servito per  il nostro programma di massima che prevedeva partenza da casa il venerdì mattina presto, salita in giornata, pernottamento in bivacco e discesa nel giorno di sabato; ma i fatti si svolsero in modo diverso.

Passa a prendermi a casa alle 6 Rocky, che ha già in macchina Giorgio (mio compagno di cordata) ed Angelo. Non serve partire prima, tanto la prima cabina della funivia che porta al Rosetta prima delle 8.30 non si muove. Siamo felici e su di giri in quanto il tempo meteo mette bello ed è da un po’ che aspettiamo di metterci in ballo con una salita così lunga ed impegnativa. Arriviamo a San Martino di Castrozza in perfetto orario ed alle 9, dopo aver arricchito la Società Funivie di Primiero, iniziamo a camminare sul magnifico sentiero che passando sotto Cima Immink ci porta all’attacco della nostra parete alle 10 circa. Le relazioni che abbiamo mettono che per la salita occorrano 8-9 ore, per cui non abbiamo particolare premura anche se dopo un paio di tiri di corda ci andiamo ad infognare in un canalino strapiombante dal quale peraltro riusciamo ad uscire in modo dignitoso. Perdiamo purtroppo altro tempo nel cercare la retta via tanto che una cordata di tedeschi che ci seguiva, data l’ora tarda, decide di ritirarsi. Noi invece continuiamo, arrampicando su difficoltà mai estreme in un ambiente magnifico, anzi grandioso.

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Sui camini iniziali

Talmente grandioso che passano le ore  ma la cima è sempre lontana, anche perchè le continue deviazioni ed i dubbi nell’interpretare le nostre guide ci costano molto. Una relazione di arrampicata infatti è composta da descrizioni abbastanza vaghe quali “salire per stretto canalino aggettante” o “seguire fessura giallastra fino ad un pulpito aereo” che su una parete liscia sarebbero di facile interpretazione, ma su un mondo verticale quale quello della Pala ti fanno chiedere “sarà questo il canalino ? Quale di queste due fessure intenderà “? Lenti ma inesorabili in ogni caso saliamo fino a percepire che non dovrebbe mancare troppo, anche perchè sono ormai le 18 e a settembre le giornate tendono ad accorciarsi. E forse un po’ di fretta o un po’ di rilassamento ci costa l’errore determinante, in quanto invece di seguire la guida ci facciamo attrarre da dei chiodi che vediamo alti su una placca di fonte a noi. Così parto bello determinato, fino al punto in cui supero l’ultimo chiodo e ….mi blocco. Uno strapiombo mi chiude sopra e le difficoltà superano di certo quello che dovrebbe essere il livello della via. Breve consulto col resto della truppa che mi guarda da basso e riesco a traversare a sinistra su un ballatoio esposto su cui recupero il mio compagno seguito a ruota dall’altra cordata. A quel punto facciamo quello che avremmo dovuto fare prima, cioè leggiamo bene le descrizioni del percorso in nostro possesso e ci accorgiamo che abbiamo sbagliato ma, seguendo degli spezzoni di corda che si vedono penzolare a sinistra si potrebbe aggirare gli strapiombi che incombono su noi e teoricamente ritrovarci sulla giusta direttiva. Ci consultiamo e dopo pacato e meditato dibattito decidiamo che un tentativo lo si può fare ma, dopo esser quasi arrivato nel punto di non ritorno del traverso, i miei soci ci ripensano e mi richiamano da loro; meglio riportarci in via e andare sul sicuro. Facciamo perciò due calate e arriviamo ad un piccolo terrazzo profondo una quarantina di centimetri e lungo tre metri dove secondo noi dovrebbe ripartire il giusto itinerario, sono però le 20 e tempo un’ora sarà buio. Meglio fermarsi qui dove almeno c’è la certezza di stare seduti tutti e quattro o tentare di salire la presunta retta via con il rischio di farsi sorprendere dal buio ancora arrampicando ? Scegliamo di fermarci, e mentre piantiamo i chiodi per preparare la sosta compare un elicottero che sta portando i viveri al Rifugio Pradidali. Si mette in hovering di fronte a noi ed il pilota guardandoci a 20 metri di distanza ci chiede con il classico pollice se sia tutto ok. Non deve infatti sembrargli normale vedere  persone ferme a trequarti di parete a quell’ora. Noi quattro ci guardiamo, sapendo che è l’ultima occasione per passare la notte sotto un tetto; mancato questo “passaggio” ci toccherà aspettare la mattina appesi in parete. Nonostante questo ci sorridiamo l’un l’altro e decidiamo che quest’avventura ce la vogliamo giocare by fear means, da gentiluomini. Non ci sembra giusto farci recuperare senza aver realmente dei problemi, soprattutto se si è attrezzati e determinati. Facciamo cenno all’elicotterista che va tutto bene e finiamo di piantare le nostre assicurazioni, poi, col sole che tramonta ci prepariamo per la notte.  [to be continued]

tramonto 2

 

 

 

 

FKT 2018 – SAN BRICCIO – 14 km, D+ 500 m agg. 20/11/2018

Aggiornato

NOME DATA TEMPO
BACI 30/03/2018 1h 08’20”
SAJO 23/04/2018 1h 10’28”
BOGDAN 17/11/2018 1h 11′ 05″
BOSCA 22/04/2018 1h 15’13”
FERDI 12/11/2018 1h 15’22”
MAURO 12/02/2018 1h 20′ 15″
PERBE 13/06/2018 1h 22’35”
MARCO S. 29/05/2018 1h 25’04”
MICHELE 22/05/2018 1h 30’10”
SPINA 22/05/2018 1h 30’52”
TORELLO 22/05/2018 1h 30’59”
BEI 23/03/2018 1h 31′ 20″
GIULIO 28/02/2018 1h 37′ 04″
RICKY 10/01/2018 1h 42’00”
CLAUDIA 10/01/2018 1h 45’00”
DIC 10/01/2018 1h 45’00”
GIGI 10/01/2018 1h 45’00”
BEPPE 23/01/2018 1h 48′ 59″

 

Stivo on the rocks -Forza lupo a tutti

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Forza lupo a tutti

Questa frase, pronunciata con un pesante accento teutonico da un probabile top runner altoatesino sulla linea di partenza, è stata solo la ciliegina sulla torta per una gara che ha scaldato i cuori di tutti i Fagiani presenti. Ma partiamo dall’inizio: puntello alle 06.30 dai carabinieri e poi a Verona Nord per completare i due equipaggi per un totale di otto runners alla volta di Mori di Trento. Manca Michele, ufficialmente messo ko dalla cacarella (stavolta non in gara) mentre le malelingue lo danno in via di zerbinamento sulla strada lastricata di scuse che porta alla paternità. Parcheggiata la macchina a tre minuti dalla partenza, andiamo a ritirare i pettorali all’interno di un centro scolastico attrezzatissimo che funge da base logistica e vediamo che nell’auditorium dove ci danno i numeri possiamo anche lasciare le sacche per cui, dopo aver preso anche quello di Michele (dopo aver diligentemente avvertito la direzione gara che il titolare non sarebbe partito, per cui di levarlo dall’ordine di partenza) ed essere andati alle macchine e tornati, sistemiamo gli ultimi dettagli prima dell’imminente partenza. A dire il vero mi sorge un dubbio, in quanto la mancanza di nome sotto il numero mi insospettisce sul fatto di aver preso il pettorale giusto, ma il mio cognome comincia con la S, quello di Michele con la P per cui il numero più alto è di certo quello esatto. Infatti. Quando usciamo per la punzonatura e vedo che alla lettura del mio chip compare sul display il nome di Michele mancano pochi minuti al via e non ho voglia di correre fino alla macchina per prendere il pettorale giusto. Con la faccia di bronzo torno dai giudici di partenza comunico che IO (Daniele) sono stato male dopo aver ritirato il pettorale mentre (IO) Michele è resuscitato ed è tornato a correre. Nel frattempo è partito il gioco dei culi e dei sosia; è caccia al miglior culo femminile (e qui la competizione è dura perchè girano veramente dei fondoschiena notevoli) ed è caccia al miglior sosia fagiano. Riusciamo ad individuare le brutte (o belle ?) copie di Boghi, Tommy e di Michele stesso (destinato perciò alla presenza in un modo o nell’altro), ed è proprio quest’ultimo ad essere immortalato in un’immagine con il Tonno che sfacciatamente gli chiede una foto.

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Faccia di bronzo (o stronzo)

Tempo di salutare il vincitore del Trail del Fagiano (che per la cronaca arriverà terzo) e di beccarci le solite flatulenze gassose del Taddy e ….via, si parte. Il percorso si snoda per un paio di chilometri in paese, probabilmente per cercare di sgranare un po’ il gruppo in previsione del sentiero che si prende appena fuori dalle case: il sentiero delle Trincee. Questo infatti è composto da una serie di camminamenti, strettoie, piccoli tunnel e scalette, a volte attrezzate con cordone metallico, che in modo tortuoso permettono di salire una prima parte della montagna fino ad arrivare ad un dedalo di trincee (trincee del Nagia Grom)

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Le trincee all’interno delle quali si corre

poste poco prima del primo ristoro al settimo chilometro di gara. In questa fase ringrazio il cielo per le soste in coda, perchè le 5 cene nei 5 giorni precedenti la gara presentano il conto al mio peraltro abituato (alle cene) fisico; sto infatti da culo e sudo come un porco cercando di espellere le tossine alcoliche accumulate. Fino a poco prima di questo punto siamo tutti abbastanza vicini, tranne Omar ed il Ferdy che sono usciti dai radar appena fuori le case di Mori. Giungo al ristoro poco prima degli altri e riparto con il gemello A alla volta della seconda tranche di salita (alla fine saranno 1500 m di D+ nei primi 13 km). Mi sento un po’ meglio e prendo un passo un po’  robusto che mi permette di giungere in fondo alla salita del Baiena dopo tre ore di corsa. Sono nel frattempo rimasto solo ma mi sento decisamente bene, la giornata è meravigliosa e qui inizia la lunga discesa che caratterizza la seconda parte di gara. Giungo al bivio che divide la gara lunga dalla gara corta e scopro esserci un cancello orario che chiuderà dopo 20 minuti. Spero ardentemente che il resto della truppa non se la prenda troppo con comodo, c’è altrimenti il rischio di rimanere fuori (scoprirò poi che in effetti tutti i sodali sono passati tranne il Ricky, il quale una volta scoperto di essere stato estromesso per due minuti, tanto ha fatto e detto che è riuscito a farsi riammettere assieme ad un’altra decina di persone arrivate con lui. Della serie: l’arroganza del Masaniello Fagiano). Da qui dopo una prima parte corribilissima di circa tre chilometri, il percorso prevede una serie di rampette e discese che fanno gridare i quadricipiti ormai stressati, ma la gente nei pressi della partenza della Ferrata Montalbano (vicino all’omonima chiesetta) mi incoraggia a tenere duro e così giungo in breve in paese e sull’ultima curva, come ormai da copione, sento le grida della mitica Stefy che mi incoraggia negli ultimi metri. Taglio il traguardo in 4 ore e mezza e dopo un bacio ed un palpone alla Stefy vado in doccia (calda) ed assieme ai ritrovati Omar e Ferdy (sotto le quattro ore il primo, più di 10 minuti prima di me il secondo !!) ci posizioniamo nel parchetto prima del traguardo a bere birrozze e mangiare una buonissima torta salata della Stefy, mentre nel frattempo arrivano tutti gli altri ed anche la Silvia e Mattia venuto vedere il papà (il Tonno, non io) all’arrivo. Poi il resto è un ottimo pasta party, ottima compagnia ed un ritorno tra le solite risate, frasi sguaiate e sconvenienti e generose sorsate di birra. Un Trail bellissimo, un’organizzazione di prim’ordine e una giornata da ricordare; cazzo che figata essere Fagiani !!!!

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