Dispiaciuto per Beto devo tornare a pensare al mio destino e per me il futuro prossimo riserva un’abbondante dose di fango e pioggia e pure l’amarezza di non vedere niente attorno, nemmeno quando attraversiamo delle affilate creste di montagna che lascerebbero immaginare anche di notte dei paesaggi fiabeschi. Invece c’è solo melma e acqua, tanto che pur di farmela passare mi accodo ad una strana coppia che sta correndo la 100K (pertanto nelle retrovie, per cui tengo il loro passo) composta da un orientale (giapponese?) che emette dei rumori strani e da una tedesca, che per mia fortuna sono obbligati a parlare in inglese tra loro. Dalle frasi che scambiano capisco subito che il tizio deve essere un tordo mica da ridere, mentre lei sembra mettere assieme almeno due tre ragionamenti di senso compiuto. Ovviamente mi faccio anche un trip secondo il quale lui stia tentando l’approccio ma quando la ragazza si gira e la inquadro bene in viso non riesco a non pensare che sia tra le cinque donne più brutte che io abbia visto. Lei parla anche di un “husband” che la aspetta al traguardo e io faccio mentalmente a lui i complimenti per tanto coraggio. Per fortuna in mezzo a pensieri così politicamente scorretti arriviamo al secondo ristoro, lo “Chalet de Blansex” che di chalet non ha niente almeno per noi, che siamo relegati sotto un tendone. Smette un attimo di piovere per cui dopo essermi mangiato un paio di raclette riesco a sedermi attorno ad un bel falò che hanno acceso all’aperto e mi asciugo i vestiti. Passa in quel momento anche Roberto da Treviso ma si ferma un attimo e riparte così per l’ennesima volta lascio il ristoro da solo, consapevole che per me si avvicina l’ora della solita botta di sonno ingestibile. Per fortuna in questo tratto non ci sono sentieri ripidi ed anzi dopo uno scollinamento mi ritrovo su una bella poderale. E’ l’alba e non piove più, la pendenza è regolare ed inizio a corricchiare e……mi addormento. Corro addormentato e nel subconscio sono pure felice anche se nel fondo della mente sento di aver scordato qualcosa. Ma la strada è bella, e io vado, trottando nel dormiveglia e mi piacerebbe vedermi da fuori in quel mentre. Poi d’un tratto, ormai in fondovalle in corrispondenza di un ponte sbarro gli occhi e inchiodo sui due piedi. Mi è venuto in mente cosa non andava: le balise !!!! Da quando corro in discesa da assopito non ho più controllato i nastri ed ora non ne vedo nelle vicinanze. Mi viene da piangere e dandomi a voce alta del coglione inizio a tornare sui miei passi in salita, sperando di trovarne presto una. Passerà invece mezz’ora durante la quale incontro anche due americani su un furgone talmente dispiaciuti per me da offrirmi un passaggio indietro ma so che rischio la squalifica pertanto ringrazio e rifiuto. Finalmente in corrispondenza di un bivio ritrovo le bandierine (che erano segnate perfettamente peraltro) e ritorno sul giusto sentiero che in breve riporta su un altro sterrato in salita. Percorro la strada e nonostante la disavventura di poco prima devo essere veramente lesso, perché ad un certo punto dopo un tornante vedo delle balise sulla sinistra e prendo un sentiero in discesa. Per fortuna dopo poco incrocio un tizio che mi avverte che sto andando in senso contrario. Ribatto mostrandogli le bandierine che le sto seguendo ma lui mi dice di essere abbastanza sicuro che si vada in senso opposto, aggiungendo anche che è il tracciatore di quella parte di percorso. Capisco subito dove è l’errore: ho saltato una deviazione (scurtolo) sulla strada principale e quando ho trovato il punto in cui si immetteva nuovamente sulla sterrata l’ho preso nel verso sbagliato. Per fortuna stavolta la mia sbadataggine mi costa poco, così in breve arrivo al ristoro posto in un luogo incantevole dove un laghetto è contornato da chalet bellissimi: Taney.
Al ristoro sono tutti gentilissimi ed il cibo buono. Il fatto che non piova più solleva ulteriormente il morale per cui approfitto dell’atmosfera bucolica per prendere uno sdraio rotto messo in disparte e rilassarmi un attimo. Dopo pochi istanti la tela sotto il sedere si strappa e mi ritrovo col culo per terra e la schiena appoggiata allo sdraio. Non muto nemmeno espressione e sotto lo sguardo divertito dei volontari mi godo una decina di minuti di totale relax. Quando riparto vengo avvicinato da due concorrenti della lunga che incredibilmente parlano inglese (sono belgi) e altrettanto incredibilmente per educazione discutono in tale lingua per permettermi di partecipare ai dialoghi. E’ la prima volta da quando ho lasciato Fabiano che posso camminare e scambiare quattro chiacchiere con qualcuno e in poco tempo iniziamo a scherzare e a confrontarci sulle varie parti del percorso che ci hanno colpito maggiormente. Ad un certo punto la strada torna a salire ed uno dei due si stacca, mentre io e l’altro, Adrien, continuiamo assieme come vecchi amici. E’ un appassionato di scialpinismo e arrampicata perciò possiamo svariare negli argomenti, tanto che arriviamo al ristoro successivo quasi senza essercene accorti. Questo sarà l’ultimo ed il fatto di essere ormai prossimi al Lago di Ginevra fa si che i bravissimi volontari offrano del pesce accompagnato con riso e verdurine. E’ favoloso e ne prendo due abbondanti porzioni.
Al momento di partire mi viene un po’ di malinconia perché so che sta per terminare questa avventura e che a breve non ragionerò più pensando a distanze, dislivelli e basi vita, ma si tornerà alla consuetudine di tutti i giorni. Copro l’ultima salita della gara quasi di slancio e al momento di iniziare la planata finale verso il traguardo Adrien, che ha grossi problemi alle ginocchia in discesa, mi dice di non aspettarlo e che ci vedremo in fondo per cui inizio a trottare verso l’epilogo della mia Swisspeaks che dista ormai solo un pugno di chilometri, più a valle, con i concorrenti della 42k partita qualche ora prima che iniziano a superarmi. Corricchio quanto posso, arrivando addirittura a superare uno della 360K che mi guarda malissimo e giungo infine sul lungolago dove in fondo al pontile si trova il traguardo. Mi sento chiamare e sono Sandrine e Philippe che già arrivati si stanno sbracciando ad applaudire chi arriva e nell’indifferenza del resto della Svizzera varco il traguardo non venendo nemmeno menzionato dallo speaker, intento a elogiare il 50mo arrivato della gara Marathon. Francamente mi frega poco, penso solo a levarmi le scarpe (è tornato il male alla caviglia probabilmente legato al fatto che nell’ultima tappa non ho preso l’OKI che mi concedevo) e a prendere una birra, poi, rigorosamente all’interno della zona d’arrivo mi siedo su masso in riva al Lago e mi concedo due minuti di totale compiacimento, sorseggiando con voluttà la mia meritatissima bionda.
Poi, dopo aver scritto qualcosa a casa e sul gruppo tifosi mi inizio a rimpinzare di crepe e birra, che finchè resto all’interno della zona arrivo sono gratis, per poi costare 8F appena varcata la transenna. Aspettando Adrien perdo il conto di quante ne sorbisco, e quando arriva lui ricomincio da capo. Mi fa una foto sotto al traguardo e spendiamo un po’ di tempo assieme anche se non parliamo molto, quasi svuotati alla fine di questa lunga avventura.
Dopo un po’ saluto e vado a recuperare l’auto, e prima di trovare il mio B&B ho anche la forza di andare a comperare birra e schifezze in un supermercato. Preso possesso della mia camera (minuscola e a dir poco….minimale) vado nel bagno in corridoio a fare la doccia e mi devo pure vestire per uscire, in quanto il buono pasto che ci hanno consegnato è spendibile in uno degli stand sul Lungolago nei pressi dell’arrivo. Sono però vicino e a piedi vado a prendermi una pizza da asporto che mi porto in stanza e che mangio in beata solitudine. Mi metto in pari coi messaggi e mangio un po’ di porcherie, poi inizio ad essere stanco e per tutta la notte mi addormento e mi risveglio con una certa ciclicità. La mattina dopo colazione faccio due passi attendendo la premiazione, anche se non posso infilarmi la scarpa destra in quanto la caviglia è ormai andata a farsi benedire.
Vorrei partire subito ma il miraggio del giacchino invernale che da sempre viene consegnato ai finisher mi trattiene. Mi reco al molo dove trovo Adrien e dove vedo anche gli altri finisher, e ci si guarda tutti con ampi sorrisi, come dei reduci che l’abbiano in qualche modo scampata.
Per fortuna la cerimonia di premiazione è più corta rispetto al TOR e dopo la foto di rito sul palco con tutti gli altri, mi fiondo all’auto e inizio il lungo viaggio di ritorno verso l’Italia e verso casa, con un pisolino in Autogrill dopo Aosta, giusto per l’ultima volta come ricordo della settimana trascorsa. L’avventura è finita, avrò modo di pensare a fondo ai giorni passati, per ora sono solo contento di essere riuscito a portare a termine questa gara. Adesso sono uno Swisspeaker, che è tutto quello che volevo al momento della partenza.