COITUS INTERRUPTUS

Profil149kmSe dal titolo qualcuno si aspetta un racconto a sfondo ludico sessuale rimarrà deluso, in quanto è solo la presentazione della mia Echappee Belle di agosto 2023. L’unico aspetto a cui non riesco ancora a darmi risposta è se nel coito di cui sopra fossi parte attiva o passiva, ma questo non lo saprò mai…

La fredda cronaca

Giovedì 26 agosto parto dalla Val di Fiemme alle 7 della mattina e dopo una sosta a casa a Verona per recuperare la borsa e lo zaino della gara, mi rimetto in autostrada in direzione Vercelli, dove mi aspetta l’incontro con Franco, mio compagno di ventura e di avventura. Non ci siamo mai conosciuti di persona ma il nostro primo approccio è relativo al 2019, quando gli ho venduto un paio di Hoka seminuove, e abbiamo in tal modo scoperto di avere un amico comune a cui abbiamo anche intitolato la nostra “squadra” della EB (crearci una squadra ci garantiva la partenza nella stessa vague). Nei mesi precedenti alla gara ci siamo scritti e abbiamo concordato una parte di logistica comune, pertanto passerò a prenderlo e tutto il pregara lo trascorreremo assieme, poi lui tornerà con moglie e amici che verranno al traguardo. Arrivo a Vercelli proprio ad ora di pranzo e rimango ospite della favolosa famiglia di Franco ed Enrica la moglie cucina anche un po’ di pasta in più che sarà la colazione del giorno successivo, prima della gara. In un torrido primo pomeriggio agostano ci rimettiamo in viaggio verso il Frejus, e durante lo spostamento il mio sodale mi racconta le peculiarità storiche e fisiche di tutta una fetta di territorio che non conoscevo tanto che chiacchierando, in quello che sembra un baleno ci troviamo in testa alla Val Susa dopo la quale entriamo in Francia. Abbiamo entrambi prenotato lo stesso Motel sulla strada che porta ad Aiguebelle, base logistica della gara ed arrivo, pertanto prima di ritirare i pettorali ci fermiamo alla nostra magione notturna composta da una stanza piccola, spoglia e nel mio caso con la doccia piena di capelli femminili. Poco importa visto il tempo di permanenza, pertanto dopo aver velocemente disfatto i bagagli risaliamo in macchina (che parcheggiata all’ombra alla quota di 300 m s.l.m. riporta la temperatura di 39 C°) e in breve raggiungiamo la nostra destinazione. Vedere i gonfiabili dell’arrivo ed i gazebo degli espositori è sempre galvanizzante perciò posteggiamo l’auto e scendiamo belli carichi, pronti ad immergerci nella speciale atmosfera pregara, quella carica di testosterone, preoccupazione e speranza, quella dove guardando gli altri ti sembrano tutti più magri, più giovani e più tosti di te, quella che senti solo nelle gare che temi. Qui per me c’è tutta, pertanto immaginate la smorfia inebetita quando già nel parcheggio un concorrente ci avverte che la gara non si svolgerà in forma integrale ma per motivi di sicurezza terminerà laddove è posizionata la prima Base Vita, al km 62. Franco, che parla molto bene il francese mi spiega che a causa delle disposizioni della Prefettura di Grenoble, in virtù delle previsioni Meteo catastrofiche, gli organizzatori hanno ricevuto ordine tassativo di sgomberare dai concorrenti la dorsale delle Belledonne entro la mezzanotte di venerdì, pertanto alle 22 chiuderà la nostra gara ed addirittura i due percorsi di 60km e 84 km che dovrebbero partire sabato non vedranno nemmeno il via. Dire che non la prendo bene è un pelo un eufemismo, tanto che la mia verve veneta vede un crescendo rossiniano, poi ovviamente sbollisco la rabbia e capisco che non solo sia la scelta giusta, ma anzi l’organizzazione è da elogiare perché almeno si sta facendo in quattro riorganizzando trasporti e tabelle orarie per permetterci di compiere quasi metà del percorso originario. Pertanto alle 19 circa, ritirati i pettorali, io e Franco ci informiamo su dove sia il Pasta Party e dopo un giro di più di un chilometro a piedi arriviamo in una specie di foresteria dove ci forniscono un abbondantissimo piatto di pasta alla francese (scotta) e dove Franco trova il modo di scambiare qualche chiacchiera con altri runners che hanno già fatto la gara in edizioni precedenti. Fa un caldo atroce e sono pure smonato perciò appena terminato di mangiare lascio la tavola ed aspetto fuori rimuginando sul da farsi il giorno seguente. L’accorciamento del percorso cambia infatti la strategia, dandomi la possibilità di partire a ritmo un po’ più robusto rispetto a quanto avrei fatto in origine, il fatto è che comunque io non riesco a partire forte perciò più di tanto non sarà una cosa fattibile. A mente più fredda capisco anche che l’accorciamento del percorso non cancella le difficoltà ma le riduce, e che seppur accorciata dovrò fare una gara di 60 km con 5000 metri di D+ su terreni particolarmente tecnici, perciò sarebbe pericoloso non ritrovare l’adeguata motivazione prima del via. Nel metre di queste valutazioni Franco esce, ed assieme torniamo prima alla macchina per poi raggiungere il Motel. Sono circa le 20:45 e l’appuntamento nell’atrio è per le 02:45. Faremo colazione in camera con la pasta portata da casa e poi andremo al traguardo (originale) da cui alle 3:30 partirà la nostra navetta per Vizille, luogo di partenza. Prima di coricarmi rifaccio lo zaino ritarato sulla nuova gara e dopo aver ripassato mentalmente di avere tutto il necessario riesco ad addormentarmi ed a dormire tre ore. L’incontro con Franco è puntualissimo, così come il pullman che alle 5 della mattina ci scarica a Vizille. C’è una silenziosa palestra per riposare prima del via ma preferiamo sederci nel tendone a bere un caffè in attesa della nostra vague di partenza.

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Con Franco prima del via

Alle 6, dopo un briefing che rispiega i tagli del percorso e in cui il direttore corsa raccomanda di non sottovalutare il percorso accorciato, partiamo davanti al Castello di Vizille dopo un saluto di ordinanza con Franco; ognuno farà la propria corsa, ci si trova al traguardo. Al via tutti corrono sul piattone iniziale, poi parte la prima salita di salita di 1000 D+ e lo stesso tutti vanno come treni. Io prendo un passo robusto ma scelgo di non andare a tutta mentre Franco sparisce davanti a me. La prima parte, quella che porta in quota non è per niente tecnica, pertanto in tre ore esatte copro i 17 km con 1600 D+ che separano la partenza dal primo ristoro, dove mi fermo qualche minuto prima di ripartire. Cibo e bevande sono distribuite all’esterno di un Centro Fondo molto bello, ed il clima è di gran festa. Mangio una minestra di verdure oltre al solito pane e formaggio e riparto per la seconda parte che inizia a far capire quello che sarà il tema della giornata: fondo tecnico su fondo tecnico. Sono ancora abbastanza in coda ma un po’ alla volta inizio a sorpassare gente tanto che i seguenti 5 km con 500 D+ che separano dal Col della Botte corrono via in un lampo, complice anche la bellezza dei paesaggi che inizia a manifestarsi.

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Paesaggi bellissimi

La giornata è splendida e senza una nuvola in cielo, sembra impossibile che nel giro di 12 ore sia previsto l’inferno meteorologico ma tant’è, e approfitto del buon momento per correre in discesa verso il secondo ristoro di giornata il Refuge de la Pra. E’ posto in posizione magnifica, all’interno di un vallone glaciale e in prossimità di un ruscello; sull’ampia terrazza c’è spazio per riposarsi e mangiare un’altra minestra, ma soprattutto per bere un fiume di Coca Cola, dato che sono circa le 11:30 e il sole si è piazzato sulle nostre teste in pianta stabile. Rimaniamo sopra i 2000 metri di quota pertanto non ci sono alberi né ombra, nemmeno al Refuge dove i pochi tendoni sono a disposizione dei volontari. Franco mi precede di poco ma non ho fretta e riparto con calma non prima di aver litigato con un altro concorrente reo a mio avviso di volermi rubare la soft flask appena riempita. Quando per la terza volta gli rispondo in malo modo che non gliela avrei data perché mia, finalmente capisco che si era solo offerto di tenermela perché mi aveva visto in difficoltà ad avvitarla. Mi scuso e riparto, verso la Croix du Belledonne, coi suoi 2900 metri la Cima Coppi della corsa. Il caldo è infernale e salendo supero Franco che sembra soffrire parecchio la temperatura. Pure io sto patendo ma vedere chi sta peggio mi galvanizza e senza ridurre troppo l’andatura raggiungo il Bivio verso la Croce, posto 2-300 metri sotto la cima.

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Ancora pimpante

Quando sto per dirigermi verso questa mi sento chiamare da dietro da una concorrente che mi dice che non si sale ma si taglia in piano verso il Col de Freydane. Le chiedo se sia sicura e chi glielo abbia detto e lei di rimando mi dice che un volontario incrociato qualche minuto prima lo aveva urlato al nostro passaggio. Resto un filino perplesso, anche perché non capisco il motivo per cui lo stesso volontario non si sia posizionato proprio alla biforcazione in modo da dirigere chi arrivasse,  ma quando vedo tutti svoltare come me mi metto il cuore in pace ed inizio prima la discesa su pietroni e poi il saliscendi che porta al terzo ristoro posto al 38esimo chilometro. Il rifugio Jean Collet sembra per dimensioni quasi un bivacco, e la piccola terrazza è affollatissima. Precedo di poco Franco e il caldo si sta facendo insopportabile, ragion per cui continuo a bere come un matto e mangio pochissimo. Pure il brodo è difficile da mandar giù con queste temperature ma mi sforzo di ingurgitare pane e formaggio che sciolto al sole mi risulta almeno un po’ appetibile. Anche qui il sole non ha rivali e seduto su uno sdraio in piena battuta percepisco chiaramente che mi sto cuocendo, tanto che appena ricaricate le borracce riparto, lasciando Franco ad abbrustolirsi. Il menù di giornata prevede la salita a quelli che sulla carta sembrano due rilievi appena pronunciati ma dalla pendenza che prende il sentiero capisco che salire il Col de la Mine de Fer non sarà banale.

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Un po’ refrigerio solo dai torrenti, non c’è traccia di ombra

Per fortuna all’inizio si costeggiano laghi e torrenti, così il gesto di bagnare il berretto e di raffreddarsi il collo diventano una routine piacevole e quasi obbligatoria, ma la pietraia verticale per superare gli ultimi 200 metri di D+ è pazzesca e una volta sul Colle le facce degli astanti sembrano esprimere il medesimo pensiero comune, e per di più di veneta fattura. Pietre su pietre, di ogni forgia e dimensione, labili, stabili e appoggiate, sia qui che sul successivo Col de la roche Fendue, dove i km fatti diventano 42 con a rimorchio 4000 metri di D+. Il posto è semplicemente magnifico, di una asprezza che spaventa ed incanta allo stesso tempo ma il caldo sprigionato dalle rocce sembra cuocerti fino alle ossa, e ne fanno le spese anche le mie scarpe le cui suole  tra rocce e caldo si squagliano.

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Caldo e pietraie non danno scampo alle scarpe

Fino ad adesso ho integrato il poco cibo con dei gel e la soluzione ha funzionato, perché nonostante mi senta un po’ stanco non ho fatto che recuperare gente e così faccio per tutta la discesa tecnica che segue i due valichi appena fatti. Purtroppo, appena il sentiero migliora un po’, quando dovrei avere vita un po’ semplice mi arriva una sventola incredibile fatta di mal di testa, nausea e spossatezza completa; cha abbia tirato troppo, oppure preso un colpo di calore o più probabilmente le due cose assieme fatto sta che non riesco a correre nemmeno sulla facile discesa verso il ristoro presso il Rifugio Habert d’Aiguebelle, presso cui arrivo in condizioni abbastanza imbarazzanti. Capisco subito che il tentativo di chiudere facendo un buon tempo finisce qui, ci ho provato e quasi andava bene ma ora devo unicamente rimettermi in sesto ed andare a suonare la campana all’arrivo. Ho margine enorme sui cancelli perciò non ho particolari patemi perciò una volta acclarato che al ristoro hanno finito l’acqua gasata, mi sposto nella parte di Rifugio “a pagamento” e trovato un posto all’ombra mi ordino una Perrier ghiacciata (lattina da 33cl al modico prezzo di 5€) e resto in panciolle per più di mezz’ora. Dopo una sequenza di rutti e aver abbassato la temperatura corporea mi sento decisamente meglio, e ne ho ben donde perché l’altimetria mi dice che prima di arrivare al traguardo (ex base vita) devo ancora superare gli ultimi 800 metri di D+ suddivisi su due ramponi, il Col del L’Angleton e il Col de la Vache. Parto tranquillo in piano, aspettandomi da un momento all’altro la sparata in salita, ma passa un chilometro ed ancora non si va su. Ad un certo punto inizio a correre pure io come gli altri ed affianco un francese che finalmente spiaccica due parole in inglese che a mia apposita domanda mi informa che il tracciato è stato nuovamente cambiato pertanto si evitano le due cime che vengono sostituiti dalla risalita di una pista da sci che più o meno eguaglia il dislivello, di certo non il fondo tecnico e pertanto accorcia i tempi della gara, tutto nell’ottica di arrivare prima del temporale. Faccio per l’ennesima volta sfoggia delle mie peculiarità venete, e almeno la nuova incazzatura (sti mangiarane fanno fatica ad avvertire anche chi non parla francese? Mettete un cazzo di cartello in inglese al ristoro !!!) mi serve da stimolo per correre tutto il piattone prima dell’infinita pista da sci che risalgo a buon passo anche grazie alla compagnia di un simpatico ragazzo danese. Svalico al tramonto e mi sforzo di correre tutta l’ultima discesa, accompagnato da un gentilissimo francese che conosce bene il percorso e con il quale decidiamo di arrivare appaiati. Sono circa le 20:30 quando mi faccio la foto d’ordinanza presso la campana, dopo la quale con tutta la calma del mondo mi scolo quasi due litri di acqua gassata.

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La campana finisher

Inizia pure a piovere e sotto uno scroscio vado a prendere il premio finisher e recupero la sacca, scoprendo che una corriera navetta dovrebbe partire a momenti in direzione di Aiguebelle. Corro a prenderla per scoprire che resto a terra assieme ad un altro quando arriva pure Franco e assieme abbiamo la gigantesca botta di culo di trovare un pulmino aggiuntivo dove assieme ad altri 5 reduci saliamo per tornare al traguardo originale. L’autista del pulmino è scatenato, e guida in dicesa sul bagnato come un pazzo, con l’esito di farmi velatamente cagare addosso ma anche quello di riportarci alle macchine ben prima della corriera partita prima di noi, tanto che nel frattempo riusciamo anche a farci la doccia e cambiarci in completa solitudine. Alle 22:15 siamo fuori dagli spogliatoi lavati e pronti, ma per cosa ? Non abbiamo una stanza per dormire (saremmo dovuti essere in gara) però c’è un dormitorio a disposizione. Franco avrebbe anche un letto disponibile appena di là del confine, ma sono dell’idea di tirare fino a casa perciò partiamo e dopo una salutare sosta in autogrill italiano, alle 01.15 deposito Franco a casa sua, “respingendo”  i suoi gentili inviti a fermarmi a dormire. Il nostro sodalizio è stato perfetto, abbiamo parlato quando c’era da parlare, siamo restati assieme quando serviva e poi corso individualmente la nostra gara. Un’altra amicizia trail è nata, e quel sospeso del percorso interrotto potrebbe essere preludio ad altre avventure assieme. Dopo il commiato riprendo la strada e cotto a puntino alle 4.00 in punto sono a Verona, 22 ore dopo la partenza della corsa. Stanco e felice

EPILOGO

Ancora adesso non so se ci sarà un tentativo nel 2024 di completare l’Echappee Belle. Non saprò mai se l’avrei chiusa; è vero che sono arrivato a quella che sarebbe la prima Base Vita provato, ma è altrettanto vero che ho tirato più del dovuto sapendo che la gara era accorciata. Non c’è modo di dipanare questo dubbio, quel che è certo che ho assaggiato il gusto di questo Trail e mi ha tanto sorpreso per la bellezza dei posti attraversati quanto confermato la durezza del cimento. Quante montagne ancora da vedere e quante gare ancora da provare……

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