LA CONSAPEVOLEZZA FA 90

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Nella tradizione esoterica del misticismo ebraico, la cosiddetta Cabala, vi è la possibilità di predire il futuro attraverso simboli o numeri. Al numero 90 viene assegnata  la consapevolezza spirituale ed i finali imminenti. Durante lo scorso weekend però al numero 90 non ho legato la sensazione di un termine prossimo del momento che stavo vivendo, in quanto la 90 km della Monterosa Walserweg, la gara che stavo correndo, non sembrava avesse mai intenzione di finire. Ma partiamo dall’inizio:

In preparazione della Echappelle Belle vorrei testarmi su un percorso con salite lunghe e per non rifare la Doppia W già corsa l’anno passato opto per la MonterosaWW, gara alla sua seconda edizione che per un tratto ripercorre anche uno dei pezzi più belli del Tor des Geants. I 90 km con 7200 metri di D+ promessi dagli organizzatori mi fanno pensare ad un bel giro di circa 24 ore, ideale per testarmi sulle salite a poco più di un mese dalla mia gara più importante del 2023. Parto con comodo venerdì mattina e prendo alloggio assieme alle mie due socie di avventura (una, Alice come me sulla lunga, l’altra, Giorgia sulla 45). Ritiriamo il pettorale sotto una pioggia fastidiosa e ci facciamo una pasta pregara. Dopocena passa a salutare anche il Tonno che è salito in serata con la famiglia (ha spostato l’iscrizione dalla 90 alla 45 e partirà la mattina alle 7) e dopo i convenevoli e gli incoraggiamenti di rito io e Alice ci spostiamo in zona partenza alle 23 circa mentre il resto va a dormire. Siamo in pochi ed i minuti non passano mai, ma finalmente a mezzanotte, appena smesso di piovere, tra pochi spettatori ma molto festanti partiamo e come al solito nonostante un’andatura non lentissima siamo nelle posizioni di ripiego. In valle è umido e caldo e la salita non lascia spazio alle chiacchiere impennandosi subito. Prima sezione con 6 km e 1300D+, poi giusto tre passi in piano e discesa di 5 km e 1300 D-. Tre orette abbondanti e siamo tornati a Gressoney e dopo il primo ristoro inizia una parte che conosco perché fatta al contrario nel 2019 al Tor. La salita del vallone del Loo è sempre fantastica, e assieme al freddo dell’alba spegniamo le frontali e ci godiamo il paesaggio. Il secondo ristoro è presso un agriturismo ed una tazza di brodo è quello che vorremmo e che ci offrono, poi senza perdere tempo saliamo al Col Loison dove ricordo di aver fatto una bella foto col Perbe 4 anni fa. Cerchiamo di non forzare in discesa perché il fondo è molto pietroso e vorremmo preservare le gambe per le discese più corribili, perciò al ristoro di Niel arriviamo un‘ora dopo a quanto avevo pensato nel pregara, ma senza troppe ansie. Immagino che ci sarà modo di recuperare più avanti. Come al Tor il Rifugio la Gruba è caldo, accogliente e molto generoso, e mentre la Alice fa colazione con dei croissant, io mi sbafo tre tramezzini oltre ai soliti bicchieroni di Coca. La salita al Col della Vecchia è come la ricordavo, un po’ scorbutica e a tratti severa ma il morale è alto e facendo qualche sorpasso giungiamo al ristoro successivo ancora abbastanza freschi. Anche qui (dove il ristoro è stato portato con un elicottero) ci rifocilliamo a sazietà e puntiamo alla Crenna dou Leu, stretto varco che si raggiunge dopo l’ennesima pietraia in salita, ma siamo soddisfatti perché da quanto riporta l’altimetria e da quanto riferito al briefing, la discesa successiva dovrebbe essere agevole e consegnarci in breve alla Base Vita di metà percorso. La realtà invece si dimostra molto differente in quanto anche qui il fondo pietroso non permette di velocizzarsi ed in questo modo arriviamo in fondovalle a mezzogiorno sotto un sole cocente. Sei km di ciclabile e finalmente perveniamo a Gaby in base vita, un paio d’ore più tardi di quello avrei detto alla partenza. La Base è accogliente (climatizzata addirittura), i volontari gentilissimi e la lista dei cibi offerti va dalla minestra alla polenta concia passando dalla pasta al riso. Veniamo serviti al tavolo e il buon cibo, la possibilità di cambiarci i vestiti grazie alla sacca personale e dieci minuti di sedia fanno il miracolo: siamo pronti e baldanzosi per la seconda parte. Dall’altimetria sembrerebbe che una salita impegnativa ci aspetti dopo qualche chilometro ma un volontario mi dice che non è lunghissima, pertanto, quando dopo qualche chilometro su e giù arriviamo ad un controllo/ristoro in cui leggiamo “Prossimo ristoro 3,3 km – 1080 D+”, una veneta espressione di stupore fa capolino tra le mia labbra. Abbiamo già fatto 50km con 4000 metri di dislivello, ed un vertical in questo momento non è il massimo, ma tant’è, siamo qui per soffrire e ci mettiamo di buona lena a salire una vallata con pendenze pazzesche. Smoccolando e maledicendo Franco Collè ed il suo percorso in un paio d’ore siamo sopra, solo per scoprire che ci spetta un ultima salitina tecnica prima finalmente di scendere, così dopo aver colloquiato con l’unico volontario antipatico della gara (un finanziere borioso che con supponenza ci ha spiegato che per fare gare così bisogna essere preparati), vinciamo l’ultima parte verticale e scopriamo che il versante opposto, che sull’altimetria mostrava una serie di morbide ondulazioni altro non è che lo scavallamento di una serie di pietraie.

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Dalla forcella i bellissimi laghetti di Frudiere

Perciò avanti ancora con lentezza esasperante, con la sola novità che abbiamo formato un gruppo di 7 runner che ormai si muove assieme. Oltre a me ed Alice ci sono due amici di grande esperienza  (hanno chiuso TOR, Swisspeaks e tantissime altre gare e uno dei due ha un passato da discesista in Coppa del Mondo), poi ci sono due ragazzi iscritti al prossimo TOR ed infine un giovane che è accompagnato per qualche chilometro da due compagni che poi scenderanno a valle. Attraversiamo tutta la dorsale superando un paio di ristori (rimarchevole quello di Alpenzù con pizza buonissima) e finalmente giusto in tempo per l’accensione della frontale arriviamo a La Trinitè francamente un po stanchi. Siamo al km 68, perciò ne mancano una ventina per finire ma per fortuna calcoliamo che il dislivello rimanente non superi i 1000 di D+. Il ragazzo giovane dopo aver trovato a sorpresa la morosa al ristoro parte come un missile, mentre la coppia di amici riduce il passo per problemi al ginocchio del discesista, pertanto dopo una breve sosta ed esserci predisposti per la notte partiamo noi quattro rimasti. La prima parte di salita è finalmente proprio semplice, ed il buon umore torna a galla. Al penultimo ristoro un medico ci controlla il battito cardiaco sul Garmin e chiede se siamo lucidi e pronti all’ultima parte, noi che prevediamo che dopo quest’ultima salita si tratti solo di scendere al traguardo, un po’ stupiti rispondiamo che col cazzo che ci fermiamo (non rispondiamo proprio così, ma il senso era quello). Perciò i soliti quattro partiamo per l’ultima ascesa dura, con la Alice che mi “tira” perché a causa di una botta di freddo lo stomaco mi si inchioda e dopo un periodo che sembra infinito ci troviamo al ristoro della diga del Gabiet, presso l’omonimo Rifugio. Nella descrizione degli organizzatori da questo gruppo punto la vista sul Rosa dovrebbe essere magnifica, di certo ora che è mezzanotte e fa freddo la cosa che troviamo più bella è la minestra di verdure che i favolosi volontari ci offrono, con l’esito di scaldarci il cuore e nel mio caso pure di sistemare lo stomaco.

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La vista “mancata” dal Rifugio Gabiet che si vede dietro il lago. Il Rosa sullo sfondo

A questo punto guardando il roadbook dovrebbero mancare 12 km praticamente tutti in discesa, a meno di qualche ondulazione che si vede dall’altimetria. All’inizio il profilo è quasi orizzontale per 8 km, poi c’è una discesa vertiginosa ed infine gli ultimi 2-3 km in valle in falsopiano. Ci spiegano che grazie al fatto che la Diga è sponsor potremmo eccezionalmente seguire un sentiero che costeggia il Lago artificiale ed attraversarla per poi proseguire dall’altro versante. 12 km, 1000 metri di D- e siamo al traguardo, ci guardiamo negli occhi e pensiamo che in un paio d’ore arriveremo. Pur avendo problemi con la frontale (le batterie di ricambio fanno poca luce perchè erano quelle del TOR, pertanto lasciate nello zaino dal 2019…..) noto che i due amici non sembrano entusiasti di darsi il cambio a guida del drappello, e così io e la Alice conduciamo sul lungo traverso guardando in basso a destra le luci della vallata da raggiungere. All’inizio è tutto un susseguirsi di pietroni, con torrentelli da guadare camminando sempre con la pendenza a destra. Aspettiamo che la pietraia si trasformi in sentiero ma passo dopo passo, chilometro dopo chilometro è un continuo di sassi più o meno mobili da pestare, rimanendo concentrati a cercare le bandierine (per fortuna posizionate perfettamente) in un mare di roccia. Passano le mezzore, la fatica provoca un po’ di impazienza ma per fortuna restiamo sul pezzo e con lentezza esasperante esauriamo il traverso e ci troviamo nella parte ripida del percorso. Questa ha per l’ennesima volta una pendenza (stavolta in discesa) illegale che sulle nostre gambe ormai demolite non fa che peggiorare l’umore. Poi finalmente arriviamo in fondovalle e dopo l’ultimo checkpoint seguiamo una specie di ciclopedonale che con un minimo saliscendi (ormai smadonniamo anche per 10 metri di dislivello) ci porta in prossimità dell’arrivo. Con la Alice abbiamo un pelo allungato sui nostri due ultimi compagni di avventura, ma appena dopo il traguardo ci riuniamo e complimentiamo a vicenda, veramente soddisfatti di essere finisher. Per lei esordio pulp su questa distanza ma dopo questa non deve più preoccuparsi di nulla.

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Finitaaaaa !!

Dopo 29 ore non ho nemmeno più fame, e nonostante l’organizzazione abbia predisposto un pasto anche per chi arriva alle 5 della mattina come noi, mangio qualche salume e mi bevo una birra, avendo voglia solo di una doccia e qualche ora di riposo. Che puntualmente ritrovo dopo poco grazie alla gentilezza della Giorgia che viene a prenderci in macchina nonostante l’ora non proprio normale. Che giornata !!!

Parafrasando Forrest Gump si può dire che le gare trail siano proprio come una scatola di cioccolatini, non sai mai quale ti capiterà. Questa 90 ha avuto il sapore amaro della fatica dura ma pure il dolce della gratificazione per averla chiusa e tornando alla cabala il 90 mi ha dato consapevolezza; non nei miei mezzi ma sul fatto che se voglio avere qualche chance di chiudere l’Echappee Belle devo migliorare ancora in termini di resistenza e forza in salita. Non sarà facile, ma quando lo è stato ?