UTMB WORLD SERIES EVENTS

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UTMB SERIES questo pomposo insieme di acronimo e inglesismi, cela un insieme di gare che in diversi periodi dell’anno ed in diversi posti della terra hanno come punto in comune di permettere l’accesso a quello che universalmente viene considerato il Campionato del Mondo di Trail, nonché l’evento più pubblicizzato, partecipato e sognato da ogni runner che si affacci al mondo della corsa in natura: l’Ultra Trail du Mont Blanc. Per partecipare al sorteggio di una gara di Chamonix bisogna essere in possesso di famigerate stones (pietre) che le varie gare del circuito assegnano, tante più in ogni singola gara quanta maggiore è la distanza che si deve coprire. Tutti perciò a cercare di evitare di fare la fine di novelli Sisifo, costretti a portare le pietre sul colmo (cioè figurativamente al sorteggio) per poi vedersele rotolare alla base (in caso di mancata scelta).

Alla soglia della mia 60ma gara di trail non avevo mai partecipato a nessun evento che ricadesse all’interno di questo circo/circuito, ed ho colmato questa lacuna nello scorso week end andando ai nastri di partenza di ISTRIA 100, gara che si svolge a Umago e da tre anni rientra nelle Series.

Nei tempi sono stato sempre critico nei confronti dei coniugi Poletti (fondatori e gestori dell’UTMB, ora in parte  associata ad un altro gruppo proprietario del marchio di gare IronMan) che ho trovato molto arroganti (come quando pretendevano che tutte le gare di Trail d’Europa con il prefisso “Ultra” pagassero delle royalties a loro) e commercialmente aggressivi (di recente hanno sloggiato una gara storica a Vail in Colorado per mettere un loro evento, ma è indubbio che l’organizzazione della settimana di gare di Chamonix lascia sempre di stucco per la qualità di ogni aspetto da loro curato.

Di seguito vado a recensire l’evento di sabato, cercando di essere il più possibile obiettivo, ben conscio che comunque a fronte del nome e patrocinio UTMB Series, i meriti e demeriti di ogni gara sono per buona parte da attribuire all’organizzazione in loco.

COSTO ISCRIZIONE: il costo per iscriversi (entro il 15 gennaio) alla gara di 69K è stato di 90€, perciò 1,33 €/km. Credo sia abbastanza in linea con le tendenze del momento e se lo associamo ad alcuni aspetti che vado di seguito ad analizzare credo sia equo. VOTO 6

LOCATION LOGISTICA: Umago (orgogliosamente in italiano) è una cittadina di mare in grande sviluppo, che fa dello sport uno dei suoi punti di forza (viene organizzato anche un torneo Master 250 ATP di tennis). Tutta la parte di distribuzione pettorali, servizi sacche e docce viene svolta in una palestra moderna e logisticamente comoda (fuori dal centro paese), vicina a centri commerciali dove fare eventualmente spesa e con parcheggi a servizio. Con le informazioni ricevute via mail è impossibile sbagliare qualcosa e anche quando ci si presenta ai volontari senza QR Code di riconoscimento (come il sottoscritto), in un attimo si viene riconosciuti e assistiti. VOTO: 7

LOCATION TRAGUARDO: l’arrivo è posto in centro, ed in questo caso non è né facile da raggiungere né semplice parcheggiare in zona. Però correre gli ultimi 500 m sul lungomare tra la gente che ti applaude e fare il pezzettino finale nella vietta a fianco della chiesa transennata è stato molto bello, perciò i pro superano i contro, a mio avviso. VOTO 7

PACCO GARA: questo aspetto, che è inutile negare bene o male incuriosisce ed influisce sempre sul nostro umore pregara, mi ha stupito, in quanto abbiamo ricevuto tutti una maglia tecnica di graziosa fattura (sulla validità in corsa aspettiamo di utilizzarla) ed un bello zaino “tempo libero” griffato ISTRIA 100. A fare da contraltare i prezzi folli dei gadgets in vendita, dove per una maglietta da bimbo chiedevano 50€ e per una felpa 70€. Evidentemente i polli non mancano mai. VOTO 6,5

TRASPORTI: i 560 partenti alla 69K avevano 10 pullman dalle 6.45 alla palestra, che li hanno portati in un’oretta alla partenza a Buzet. A me è stato assegnato il mezzo n.3 (già nel pettorale è riportata la corriera da prendere) ed ho avuto qualche disavventura (l’autista si è persa ed è sclerata, e solo dopo essere stata guidata col cellulare da uno dei concorrenti ha ritrovato la via), ma nel complesso tutto molto efficiente al costo (all’iscrizione) equo di 10€. VOTO 7

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Alla partenza di Buzet

RISTORI: perfetta corrispondenzanelle distanze segnate sul roadbook ed il posizionamento reale. Cibo vario e di qualità (nella guida della gara c’era spiegato in modo preciso cosa si sarebbe trovato da mangiare e da bere ad ogni punto sosta). Volontari molto simpatici e spazi adeguati per il numero dei partecipanti. Tolgo mezzo punto per la mancanza di birra, anche se la pancetta era sublime. VOTO 7

APP: ad ogni runner provvisto di smartphone (cioè 99%) è stata fatta scaricare una app gratuita in cui loggandosi, se si voleva si rendeva il proprio apparecchio un GPS e pertanto si era seguiti passo passo. Io mi sono limitato ad usare la app solo come classico live e anche in questo modo i passaggi previsti e poi realizzati sono stati incredibilmente precisi. Se penso che al TOR chiedono 100€ di cauzione per un vecchio GPS mi viene da piangere, quando con questa app buona parte del tracking sarebbe garantita. VOTO 8

PERCORSO: ad una prima parte in vallate boscose, ha fatto seguito una parte centrale carina in cui si raggiungevano dei Borghi meravigliosi (Montona, Grisignana e Buia per citarne alcuni). Purtroppo gli ultimi 15 km sono stati lungo uno sterrato piatto nella campagna istriana, di una noia pazzesca e per me che non amo troppo i collinari è stato ancora peggio. VOTO 6–

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Il bellissimo borgo di Montona

Credo una menzione speciale vada fatta per il pasto post corsa, per il quale l’organizzazione ha dotato gli iscritti di un voucher che permetteva l’ingresso in un hotel di lusso all’interno del quale era presente un buffet di qualità pazzesca. Dal riso ai frutti di mare a pasta, grigliate di carne, pesce, pizze, formaggi, dolci, zuppe e gelati, ogni cosa poteva essere presa a volontà e consumata ai tavoli del ristorante (tovaglioli in stoffa, obviously). Mai vista una cosa del genere !! VOTO 9

In definitiva una corsa gradevole, molto ben organizzata a sole 3 ore mezza da casa. Correre assieme a centinaia di altri runners provenienti da tutto il mondo è sempre stimolante, specialmente se la quantità di sgnacchera è elevata come in questo caso. Di certo non sceglierei distanze maggiori alla 70K da me fatta

QUELLO CHE VOGLIO

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All I wanna do is have a little fun before I die

Diceva così Sheryl Crow nella intro di una sua celebre hit, ed in fondo dal punto di vista del trail credo sia la sintesi perfetta di quanto stia anch’io cercando: divertimento. L’anno appena trascorso da questo punto di vista è stato esemplificativo, con un mix di gare vecchie a cui sono affezionato e di gare nuove. Su undici pettorali indossati, sette volte sono stato alla partenza di Trail mai fatti e questo mi ha permesso di conoscere zone e persone differenti, dando per me un senso ulteriore alla competizione e ripagandomi delle fatiche (più di 2300 km e quasi 100000 D+) necessarie per farmi trovare preparato al via. E forse questo aspetto è l’unico che un po’ mi pesa, il grande volume di allenamento, e non in termini di fatica ma di tempo. Vorrei in futuro ritagliare più spazio per altre cose che mi piacciono e che ho trascurato, l’alpinismo in primis oltre che sciare di più, e fare se possibile qualche uscita di canyoning senza trascurare la Palazzina Turcato con gli altri volontari. Per fare ciò pertanto, non potendomi licenziare e dovendo contare su 24 ore giornaliere,  dovrò adottare una strategia differente negli allenamenti, aumentando la qualità a scapito della quantità e correndo il rischio di presentarmi al via di qualche gara in condizioni non ottimali, cosa che in passato ho già fatto ma non per scelta. Nel calendario 2024 metto tra i “bersagli grossi” 3 gare trail all’estero (Istria, Andorra e Francia) e una via di alpinismo tra la Svizzera e l’Italia, oltre a qualche zingarata. Per fortuna come dice il buon Liga “abbiam donne pazienti, rassegnate ai nostri guai” e nel mio caso non devo accompagnare la moglie al centro commerciale o a fare shopping (ne senso che si arrangia, non che non lo faccia) perciò avanti col nuovo anno, perché come diceva Il poeta Nazim Hikmet “ il più bello dei mari è quello che non navigammo”.

COITUS INTERRUPTUS

Profil149kmSe dal titolo qualcuno si aspetta un racconto a sfondo ludico sessuale rimarrà deluso, in quanto è solo la presentazione della mia Echappee Belle di agosto 2023. L’unico aspetto a cui non riesco ancora a darmi risposta è se nel coito di cui sopra fossi parte attiva o passiva, ma questo non lo saprò mai…

La fredda cronaca

Giovedì 26 agosto parto dalla Val di Fiemme alle 7 della mattina e dopo una sosta a casa a Verona per recuperare la borsa e lo zaino della gara, mi rimetto in autostrada in direzione Vercelli, dove mi aspetta l’incontro con Franco, mio compagno di ventura e di avventura. Non ci siamo mai conosciuti di persona ma il nostro primo approccio è relativo al 2019, quando gli ho venduto un paio di Hoka seminuove, e abbiamo in tal modo scoperto di avere un amico comune a cui abbiamo anche intitolato la nostra “squadra” della EB (crearci una squadra ci garantiva la partenza nella stessa vague). Nei mesi precedenti alla gara ci siamo scritti e abbiamo concordato una parte di logistica comune, pertanto passerò a prenderlo e tutto il pregara lo trascorreremo assieme, poi lui tornerà con moglie e amici che verranno al traguardo. Arrivo a Vercelli proprio ad ora di pranzo e rimango ospite della favolosa famiglia di Franco ed Enrica la moglie cucina anche un po’ di pasta in più che sarà la colazione del giorno successivo, prima della gara. In un torrido primo pomeriggio agostano ci rimettiamo in viaggio verso il Frejus, e durante lo spostamento il mio sodale mi racconta le peculiarità storiche e fisiche di tutta una fetta di territorio che non conoscevo tanto che chiacchierando, in quello che sembra un baleno ci troviamo in testa alla Val Susa dopo la quale entriamo in Francia. Abbiamo entrambi prenotato lo stesso Motel sulla strada che porta ad Aiguebelle, base logistica della gara ed arrivo, pertanto prima di ritirare i pettorali ci fermiamo alla nostra magione notturna composta da una stanza piccola, spoglia e nel mio caso con la doccia piena di capelli femminili. Poco importa visto il tempo di permanenza, pertanto dopo aver velocemente disfatto i bagagli risaliamo in macchina (che parcheggiata all’ombra alla quota di 300 m s.l.m. riporta la temperatura di 39 C°) e in breve raggiungiamo la nostra destinazione. Vedere i gonfiabili dell’arrivo ed i gazebo degli espositori è sempre galvanizzante perciò posteggiamo l’auto e scendiamo belli carichi, pronti ad immergerci nella speciale atmosfera pregara, quella carica di testosterone, preoccupazione e speranza, quella dove guardando gli altri ti sembrano tutti più magri, più giovani e più tosti di te, quella che senti solo nelle gare che temi. Qui per me c’è tutta, pertanto immaginate la smorfia inebetita quando già nel parcheggio un concorrente ci avverte che la gara non si svolgerà in forma integrale ma per motivi di sicurezza terminerà laddove è posizionata la prima Base Vita, al km 62. Franco, che parla molto bene il francese mi spiega che a causa delle disposizioni della Prefettura di Grenoble, in virtù delle previsioni Meteo catastrofiche, gli organizzatori hanno ricevuto ordine tassativo di sgomberare dai concorrenti la dorsale delle Belledonne entro la mezzanotte di venerdì, pertanto alle 22 chiuderà la nostra gara ed addirittura i due percorsi di 60km e 84 km che dovrebbero partire sabato non vedranno nemmeno il via. Dire che non la prendo bene è un pelo un eufemismo, tanto che la mia verve veneta vede un crescendo rossiniano, poi ovviamente sbollisco la rabbia e capisco che non solo sia la scelta giusta, ma anzi l’organizzazione è da elogiare perché almeno si sta facendo in quattro riorganizzando trasporti e tabelle orarie per permetterci di compiere quasi metà del percorso originario. Pertanto alle 19 circa, ritirati i pettorali, io e Franco ci informiamo su dove sia il Pasta Party e dopo un giro di più di un chilometro a piedi arriviamo in una specie di foresteria dove ci forniscono un abbondantissimo piatto di pasta alla francese (scotta) e dove Franco trova il modo di scambiare qualche chiacchiera con altri runners che hanno già fatto la gara in edizioni precedenti. Fa un caldo atroce e sono pure smonato perciò appena terminato di mangiare lascio la tavola ed aspetto fuori rimuginando sul da farsi il giorno seguente. L’accorciamento del percorso cambia infatti la strategia, dandomi la possibilità di partire a ritmo un po’ più robusto rispetto a quanto avrei fatto in origine, il fatto è che comunque io non riesco a partire forte perciò più di tanto non sarà una cosa fattibile. A mente più fredda capisco anche che l’accorciamento del percorso non cancella le difficoltà ma le riduce, e che seppur accorciata dovrò fare una gara di 60 km con 5000 metri di D+ su terreni particolarmente tecnici, perciò sarebbe pericoloso non ritrovare l’adeguata motivazione prima del via. Nel metre di queste valutazioni Franco esce, ed assieme torniamo prima alla macchina per poi raggiungere il Motel. Sono circa le 20:45 e l’appuntamento nell’atrio è per le 02:45. Faremo colazione in camera con la pasta portata da casa e poi andremo al traguardo (originale) da cui alle 3:30 partirà la nostra navetta per Vizille, luogo di partenza. Prima di coricarmi rifaccio lo zaino ritarato sulla nuova gara e dopo aver ripassato mentalmente di avere tutto il necessario riesco ad addormentarmi ed a dormire tre ore. L’incontro con Franco è puntualissimo, così come il pullman che alle 5 della mattina ci scarica a Vizille. C’è una silenziosa palestra per riposare prima del via ma preferiamo sederci nel tendone a bere un caffè in attesa della nostra vague di partenza.

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Con Franco prima del via

Alle 6, dopo un briefing che rispiega i tagli del percorso e in cui il direttore corsa raccomanda di non sottovalutare il percorso accorciato, partiamo davanti al Castello di Vizille dopo un saluto di ordinanza con Franco; ognuno farà la propria corsa, ci si trova al traguardo. Al via tutti corrono sul piattone iniziale, poi parte la prima salita di salita di 1000 D+ e lo stesso tutti vanno come treni. Io prendo un passo robusto ma scelgo di non andare a tutta mentre Franco sparisce davanti a me. La prima parte, quella che porta in quota non è per niente tecnica, pertanto in tre ore esatte copro i 17 km con 1600 D+ che separano la partenza dal primo ristoro, dove mi fermo qualche minuto prima di ripartire. Cibo e bevande sono distribuite all’esterno di un Centro Fondo molto bello, ed il clima è di gran festa. Mangio una minestra di verdure oltre al solito pane e formaggio e riparto per la seconda parte che inizia a far capire quello che sarà il tema della giornata: fondo tecnico su fondo tecnico. Sono ancora abbastanza in coda ma un po’ alla volta inizio a sorpassare gente tanto che i seguenti 5 km con 500 D+ che separano dal Col della Botte corrono via in un lampo, complice anche la bellezza dei paesaggi che inizia a manifestarsi.

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Paesaggi bellissimi

La giornata è splendida e senza una nuvola in cielo, sembra impossibile che nel giro di 12 ore sia previsto l’inferno meteorologico ma tant’è, e approfitto del buon momento per correre in discesa verso il secondo ristoro di giornata il Refuge de la Pra. E’ posto in posizione magnifica, all’interno di un vallone glaciale e in prossimità di un ruscello; sull’ampia terrazza c’è spazio per riposarsi e mangiare un’altra minestra, ma soprattutto per bere un fiume di Coca Cola, dato che sono circa le 11:30 e il sole si è piazzato sulle nostre teste in pianta stabile. Rimaniamo sopra i 2000 metri di quota pertanto non ci sono alberi né ombra, nemmeno al Refuge dove i pochi tendoni sono a disposizione dei volontari. Franco mi precede di poco ma non ho fretta e riparto con calma non prima di aver litigato con un altro concorrente reo a mio avviso di volermi rubare la soft flask appena riempita. Quando per la terza volta gli rispondo in malo modo che non gliela avrei data perché mia, finalmente capisco che si era solo offerto di tenermela perché mi aveva visto in difficoltà ad avvitarla. Mi scuso e riparto, verso la Croix du Belledonne, coi suoi 2900 metri la Cima Coppi della corsa. Il caldo è infernale e salendo supero Franco che sembra soffrire parecchio la temperatura. Pure io sto patendo ma vedere chi sta peggio mi galvanizza e senza ridurre troppo l’andatura raggiungo il Bivio verso la Croce, posto 2-300 metri sotto la cima.

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Ancora pimpante

Quando sto per dirigermi verso questa mi sento chiamare da dietro da una concorrente che mi dice che non si sale ma si taglia in piano verso il Col de Freydane. Le chiedo se sia sicura e chi glielo abbia detto e lei di rimando mi dice che un volontario incrociato qualche minuto prima lo aveva urlato al nostro passaggio. Resto un filino perplesso, anche perché non capisco il motivo per cui lo stesso volontario non si sia posizionato proprio alla biforcazione in modo da dirigere chi arrivasse,  ma quando vedo tutti svoltare come me mi metto il cuore in pace ed inizio prima la discesa su pietroni e poi il saliscendi che porta al terzo ristoro posto al 38esimo chilometro. Il rifugio Jean Collet sembra per dimensioni quasi un bivacco, e la piccola terrazza è affollatissima. Precedo di poco Franco e il caldo si sta facendo insopportabile, ragion per cui continuo a bere come un matto e mangio pochissimo. Pure il brodo è difficile da mandar giù con queste temperature ma mi sforzo di ingurgitare pane e formaggio che sciolto al sole mi risulta almeno un po’ appetibile. Anche qui il sole non ha rivali e seduto su uno sdraio in piena battuta percepisco chiaramente che mi sto cuocendo, tanto che appena ricaricate le borracce riparto, lasciando Franco ad abbrustolirsi. Il menù di giornata prevede la salita a quelli che sulla carta sembrano due rilievi appena pronunciati ma dalla pendenza che prende il sentiero capisco che salire il Col de la Mine de Fer non sarà banale.

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Un po’ refrigerio solo dai torrenti, non c’è traccia di ombra

Per fortuna all’inizio si costeggiano laghi e torrenti, così il gesto di bagnare il berretto e di raffreddarsi il collo diventano una routine piacevole e quasi obbligatoria, ma la pietraia verticale per superare gli ultimi 200 metri di D+ è pazzesca e una volta sul Colle le facce degli astanti sembrano esprimere il medesimo pensiero comune, e per di più di veneta fattura. Pietre su pietre, di ogni forgia e dimensione, labili, stabili e appoggiate, sia qui che sul successivo Col de la roche Fendue, dove i km fatti diventano 42 con a rimorchio 4000 metri di D+. Il posto è semplicemente magnifico, di una asprezza che spaventa ed incanta allo stesso tempo ma il caldo sprigionato dalle rocce sembra cuocerti fino alle ossa, e ne fanno le spese anche le mie scarpe le cui suole  tra rocce e caldo si squagliano.

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Caldo e pietraie non danno scampo alle scarpe

Fino ad adesso ho integrato il poco cibo con dei gel e la soluzione ha funzionato, perché nonostante mi senta un po’ stanco non ho fatto che recuperare gente e così faccio per tutta la discesa tecnica che segue i due valichi appena fatti. Purtroppo, appena il sentiero migliora un po’, quando dovrei avere vita un po’ semplice mi arriva una sventola incredibile fatta di mal di testa, nausea e spossatezza completa; cha abbia tirato troppo, oppure preso un colpo di calore o più probabilmente le due cose assieme fatto sta che non riesco a correre nemmeno sulla facile discesa verso il ristoro presso il Rifugio Habert d’Aiguebelle, presso cui arrivo in condizioni abbastanza imbarazzanti. Capisco subito che il tentativo di chiudere facendo un buon tempo finisce qui, ci ho provato e quasi andava bene ma ora devo unicamente rimettermi in sesto ed andare a suonare la campana all’arrivo. Ho margine enorme sui cancelli perciò non ho particolari patemi perciò una volta acclarato che al ristoro hanno finito l’acqua gasata, mi sposto nella parte di Rifugio “a pagamento” e trovato un posto all’ombra mi ordino una Perrier ghiacciata (lattina da 33cl al modico prezzo di 5€) e resto in panciolle per più di mezz’ora. Dopo una sequenza di rutti e aver abbassato la temperatura corporea mi sento decisamente meglio, e ne ho ben donde perché l’altimetria mi dice che prima di arrivare al traguardo (ex base vita) devo ancora superare gli ultimi 800 metri di D+ suddivisi su due ramponi, il Col del L’Angleton e il Col de la Vache. Parto tranquillo in piano, aspettandomi da un momento all’altro la sparata in salita, ma passa un chilometro ed ancora non si va su. Ad un certo punto inizio a correre pure io come gli altri ed affianco un francese che finalmente spiaccica due parole in inglese che a mia apposita domanda mi informa che il tracciato è stato nuovamente cambiato pertanto si evitano le due cime che vengono sostituiti dalla risalita di una pista da sci che più o meno eguaglia il dislivello, di certo non il fondo tecnico e pertanto accorcia i tempi della gara, tutto nell’ottica di arrivare prima del temporale. Faccio per l’ennesima volta sfoggia delle mie peculiarità venete, e almeno la nuova incazzatura (sti mangiarane fanno fatica ad avvertire anche chi non parla francese? Mettete un cazzo di cartello in inglese al ristoro !!!) mi serve da stimolo per correre tutto il piattone prima dell’infinita pista da sci che risalgo a buon passo anche grazie alla compagnia di un simpatico ragazzo danese. Svalico al tramonto e mi sforzo di correre tutta l’ultima discesa, accompagnato da un gentilissimo francese che conosce bene il percorso e con il quale decidiamo di arrivare appaiati. Sono circa le 20:30 quando mi faccio la foto d’ordinanza presso la campana, dopo la quale con tutta la calma del mondo mi scolo quasi due litri di acqua gassata.

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La campana finisher

Inizia pure a piovere e sotto uno scroscio vado a prendere il premio finisher e recupero la sacca, scoprendo che una corriera navetta dovrebbe partire a momenti in direzione di Aiguebelle. Corro a prenderla per scoprire che resto a terra assieme ad un altro quando arriva pure Franco e assieme abbiamo la gigantesca botta di culo di trovare un pulmino aggiuntivo dove assieme ad altri 5 reduci saliamo per tornare al traguardo originale. L’autista del pulmino è scatenato, e guida in dicesa sul bagnato come un pazzo, con l’esito di farmi velatamente cagare addosso ma anche quello di riportarci alle macchine ben prima della corriera partita prima di noi, tanto che nel frattempo riusciamo anche a farci la doccia e cambiarci in completa solitudine. Alle 22:15 siamo fuori dagli spogliatoi lavati e pronti, ma per cosa ? Non abbiamo una stanza per dormire (saremmo dovuti essere in gara) però c’è un dormitorio a disposizione. Franco avrebbe anche un letto disponibile appena di là del confine, ma sono dell’idea di tirare fino a casa perciò partiamo e dopo una salutare sosta in autogrill italiano, alle 01.15 deposito Franco a casa sua, “respingendo”  i suoi gentili inviti a fermarmi a dormire. Il nostro sodalizio è stato perfetto, abbiamo parlato quando c’era da parlare, siamo restati assieme quando serviva e poi corso individualmente la nostra gara. Un’altra amicizia trail è nata, e quel sospeso del percorso interrotto potrebbe essere preludio ad altre avventure assieme. Dopo il commiato riprendo la strada e cotto a puntino alle 4.00 in punto sono a Verona, 22 ore dopo la partenza della corsa. Stanco e felice

EPILOGO

Ancora adesso non so se ci sarà un tentativo nel 2024 di completare l’Echappee Belle. Non saprò mai se l’avrei chiusa; è vero che sono arrivato a quella che sarebbe la prima Base Vita provato, ma è altrettanto vero che ho tirato più del dovuto sapendo che la gara era accorciata. Non c’è modo di dipanare questo dubbio, quel che è certo che ho assaggiato il gusto di questo Trail e mi ha tanto sorpreso per la bellezza dei posti attraversati quanto confermato la durezza del cimento. Quante montagne ancora da vedere e quante gare ancora da provare……

Il riposo è il condimento che rende dolce il lavoro

Spero che queste parole di Plutarco si rivelino corrette, perché il tempo che mi separa dalla partenza dell’Echappee Belle sarà all’insegna del riposo. Che servano a rendere più piacevole la fatica che inevitabilmente mi aspetterà in Francia non lo credo possibile, ma mi piace pensare che quando sarò demolito sui sentieri d’oltralpe potrei trovare conforto dalla bellezza dei paesaggi.

Ho molte aspettative sulla magnificenza di quelle montagne e la curiosità è pienamente riequilibrata dalla legittima preoccupazione per l’impegno richiesto. Dopo quasi 10 anni e una sessantina di gare all’attivo pur con la massima umiltà e consapevolezza che non si è mai sicuri di arrivare in fondo, so che a meno di problemi particolari anche gare lunghe come una LUT non sono fuori dalle mie possibilità, se non altro per averne già chiuse un paio. In questo caso invece partirò con l’incognita data dalla totale ignoranza del tracciato, ben consapevole però della fama di cui gode l’Echappee Belle, cioè quella di gara tosta e che non fa sconti, tanto da vedere ogni anno al traguardo meno della metà dei partenti.

Sarà perciò con un misto di entusiasmo e preoccupazione che mi accingerò al via, sperando di suonare la campana finale dopo i due giorni che prevedo possa impiegare per colmare i 150 km e 11500 metri di dislivello positivo che separano lo start e la finish line. Sono soddisfatto per essere riuscito ad allenarmi con costanza e dedizione da gennaio, per essere riuscito ad essere sufficientemente continente fino a questo punto dell’estate e mi auguro di non svaccare nelle due settimane di ferie che precedono la gara. E comunque è bello avere ancora la voglia e la garra di mettersi in gioco, nonostante eufemisticamente non sia il più giovane tra i trail runners. Come dice il maestro Brunori troppo “rischio calcolato toglie sapore pure al cioccolato” perciò si prova, senza troppi problemi, e rifacendomi al motto di un altro grande del secondo millennio l’importante è mantenere “grande umiltà e massima ironia”.

P.S.

Nella venticinquesima puntata della serie 06/07 di Cordialmente (programma su Radio Deejay condotto da Elio e le Storie Tese e Linus) Tanica spiega per sommi capi l’origine di “sempre con la massima ironia.”
Sostanzialmente racconta che era stato colpito da una scena porno di particolare crudezza di cui Siffredi aveva fatto parte e che gli stava descrivendo, e Siffredi lo rassicurò dicendo “Sergio, ovviamente sempre tutto fatto con grande umiltà e la massima ironia”.

LA CONSAPEVOLEZZA FA 90

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Nella tradizione esoterica del misticismo ebraico, la cosiddetta Cabala, vi è la possibilità di predire il futuro attraverso simboli o numeri. Al numero 90 viene assegnata  la consapevolezza spirituale ed i finali imminenti. Durante lo scorso weekend però al numero 90 non ho legato la sensazione di un termine prossimo del momento che stavo vivendo, in quanto la 90 km della Monterosa Walserweg, la gara che stavo correndo, non sembrava avesse mai intenzione di finire. Ma partiamo dall’inizio:

In preparazione della Echappelle Belle vorrei testarmi su un percorso con salite lunghe e per non rifare la Doppia W già corsa l’anno passato opto per la MonterosaWW, gara alla sua seconda edizione che per un tratto ripercorre anche uno dei pezzi più belli del Tor des Geants. I 90 km con 7200 metri di D+ promessi dagli organizzatori mi fanno pensare ad un bel giro di circa 24 ore, ideale per testarmi sulle salite a poco più di un mese dalla mia gara più importante del 2023. Parto con comodo venerdì mattina e prendo alloggio assieme alle mie due socie di avventura (una, Alice come me sulla lunga, l’altra, Giorgia sulla 45). Ritiriamo il pettorale sotto una pioggia fastidiosa e ci facciamo una pasta pregara. Dopocena passa a salutare anche il Tonno che è salito in serata con la famiglia (ha spostato l’iscrizione dalla 90 alla 45 e partirà la mattina alle 7) e dopo i convenevoli e gli incoraggiamenti di rito io e Alice ci spostiamo in zona partenza alle 23 circa mentre il resto va a dormire. Siamo in pochi ed i minuti non passano mai, ma finalmente a mezzanotte, appena smesso di piovere, tra pochi spettatori ma molto festanti partiamo e come al solito nonostante un’andatura non lentissima siamo nelle posizioni di ripiego. In valle è umido e caldo e la salita non lascia spazio alle chiacchiere impennandosi subito. Prima sezione con 6 km e 1300D+, poi giusto tre passi in piano e discesa di 5 km e 1300 D-. Tre orette abbondanti e siamo tornati a Gressoney e dopo il primo ristoro inizia una parte che conosco perché fatta al contrario nel 2019 al Tor. La salita del vallone del Loo è sempre fantastica, e assieme al freddo dell’alba spegniamo le frontali e ci godiamo il paesaggio. Il secondo ristoro è presso un agriturismo ed una tazza di brodo è quello che vorremmo e che ci offrono, poi senza perdere tempo saliamo al Col Loison dove ricordo di aver fatto una bella foto col Perbe 4 anni fa. Cerchiamo di non forzare in discesa perché il fondo è molto pietroso e vorremmo preservare le gambe per le discese più corribili, perciò al ristoro di Niel arriviamo un‘ora dopo a quanto avevo pensato nel pregara, ma senza troppe ansie. Immagino che ci sarà modo di recuperare più avanti. Come al Tor il Rifugio la Gruba è caldo, accogliente e molto generoso, e mentre la Alice fa colazione con dei croissant, io mi sbafo tre tramezzini oltre ai soliti bicchieroni di Coca. La salita al Col della Vecchia è come la ricordavo, un po’ scorbutica e a tratti severa ma il morale è alto e facendo qualche sorpasso giungiamo al ristoro successivo ancora abbastanza freschi. Anche qui (dove il ristoro è stato portato con un elicottero) ci rifocilliamo a sazietà e puntiamo alla Crenna dou Leu, stretto varco che si raggiunge dopo l’ennesima pietraia in salita, ma siamo soddisfatti perché da quanto riporta l’altimetria e da quanto riferito al briefing, la discesa successiva dovrebbe essere agevole e consegnarci in breve alla Base Vita di metà percorso. La realtà invece si dimostra molto differente in quanto anche qui il fondo pietroso non permette di velocizzarsi ed in questo modo arriviamo in fondovalle a mezzogiorno sotto un sole cocente. Sei km di ciclabile e finalmente perveniamo a Gaby in base vita, un paio d’ore più tardi di quello avrei detto alla partenza. La Base è accogliente (climatizzata addirittura), i volontari gentilissimi e la lista dei cibi offerti va dalla minestra alla polenta concia passando dalla pasta al riso. Veniamo serviti al tavolo e il buon cibo, la possibilità di cambiarci i vestiti grazie alla sacca personale e dieci minuti di sedia fanno il miracolo: siamo pronti e baldanzosi per la seconda parte. Dall’altimetria sembrerebbe che una salita impegnativa ci aspetti dopo qualche chilometro ma un volontario mi dice che non è lunghissima, pertanto, quando dopo qualche chilometro su e giù arriviamo ad un controllo/ristoro in cui leggiamo “Prossimo ristoro 3,3 km – 1080 D+”, una veneta espressione di stupore fa capolino tra le mia labbra. Abbiamo già fatto 50km con 4000 metri di dislivello, ed un vertical in questo momento non è il massimo, ma tant’è, siamo qui per soffrire e ci mettiamo di buona lena a salire una vallata con pendenze pazzesche. Smoccolando e maledicendo Franco Collè ed il suo percorso in un paio d’ore siamo sopra, solo per scoprire che ci spetta un ultima salitina tecnica prima finalmente di scendere, così dopo aver colloquiato con l’unico volontario antipatico della gara (un finanziere borioso che con supponenza ci ha spiegato che per fare gare così bisogna essere preparati), vinciamo l’ultima parte verticale e scopriamo che il versante opposto, che sull’altimetria mostrava una serie di morbide ondulazioni altro non è che lo scavallamento di una serie di pietraie.

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Dalla forcella i bellissimi laghetti di Frudiere

Perciò avanti ancora con lentezza esasperante, con la sola novità che abbiamo formato un gruppo di 7 runner che ormai si muove assieme. Oltre a me ed Alice ci sono due amici di grande esperienza  (hanno chiuso TOR, Swisspeaks e tantissime altre gare e uno dei due ha un passato da discesista in Coppa del Mondo), poi ci sono due ragazzi iscritti al prossimo TOR ed infine un giovane che è accompagnato per qualche chilometro da due compagni che poi scenderanno a valle. Attraversiamo tutta la dorsale superando un paio di ristori (rimarchevole quello di Alpenzù con pizza buonissima) e finalmente giusto in tempo per l’accensione della frontale arriviamo a La Trinitè francamente un po stanchi. Siamo al km 68, perciò ne mancano una ventina per finire ma per fortuna calcoliamo che il dislivello rimanente non superi i 1000 di D+. Il ragazzo giovane dopo aver trovato a sorpresa la morosa al ristoro parte come un missile, mentre la coppia di amici riduce il passo per problemi al ginocchio del discesista, pertanto dopo una breve sosta ed esserci predisposti per la notte partiamo noi quattro rimasti. La prima parte di salita è finalmente proprio semplice, ed il buon umore torna a galla. Al penultimo ristoro un medico ci controlla il battito cardiaco sul Garmin e chiede se siamo lucidi e pronti all’ultima parte, noi che prevediamo che dopo quest’ultima salita si tratti solo di scendere al traguardo, un po’ stupiti rispondiamo che col cazzo che ci fermiamo (non rispondiamo proprio così, ma il senso era quello). Perciò i soliti quattro partiamo per l’ultima ascesa dura, con la Alice che mi “tira” perché a causa di una botta di freddo lo stomaco mi si inchioda e dopo un periodo che sembra infinito ci troviamo al ristoro della diga del Gabiet, presso l’omonimo Rifugio. Nella descrizione degli organizzatori da questo gruppo punto la vista sul Rosa dovrebbe essere magnifica, di certo ora che è mezzanotte e fa freddo la cosa che troviamo più bella è la minestra di verdure che i favolosi volontari ci offrono, con l’esito di scaldarci il cuore e nel mio caso pure di sistemare lo stomaco.

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La vista “mancata” dal Rifugio Gabiet che si vede dietro il lago. Il Rosa sullo sfondo

A questo punto guardando il roadbook dovrebbero mancare 12 km praticamente tutti in discesa, a meno di qualche ondulazione che si vede dall’altimetria. All’inizio il profilo è quasi orizzontale per 8 km, poi c’è una discesa vertiginosa ed infine gli ultimi 2-3 km in valle in falsopiano. Ci spiegano che grazie al fatto che la Diga è sponsor potremmo eccezionalmente seguire un sentiero che costeggia il Lago artificiale ed attraversarla per poi proseguire dall’altro versante. 12 km, 1000 metri di D- e siamo al traguardo, ci guardiamo negli occhi e pensiamo che in un paio d’ore arriveremo. Pur avendo problemi con la frontale (le batterie di ricambio fanno poca luce perchè erano quelle del TOR, pertanto lasciate nello zaino dal 2019…..) noto che i due amici non sembrano entusiasti di darsi il cambio a guida del drappello, e così io e la Alice conduciamo sul lungo traverso guardando in basso a destra le luci della vallata da raggiungere. All’inizio è tutto un susseguirsi di pietroni, con torrentelli da guadare camminando sempre con la pendenza a destra. Aspettiamo che la pietraia si trasformi in sentiero ma passo dopo passo, chilometro dopo chilometro è un continuo di sassi più o meno mobili da pestare, rimanendo concentrati a cercare le bandierine (per fortuna posizionate perfettamente) in un mare di roccia. Passano le mezzore, la fatica provoca un po’ di impazienza ma per fortuna restiamo sul pezzo e con lentezza esasperante esauriamo il traverso e ci troviamo nella parte ripida del percorso. Questa ha per l’ennesima volta una pendenza (stavolta in discesa) illegale che sulle nostre gambe ormai demolite non fa che peggiorare l’umore. Poi finalmente arriviamo in fondovalle e dopo l’ultimo checkpoint seguiamo una specie di ciclopedonale che con un minimo saliscendi (ormai smadonniamo anche per 10 metri di dislivello) ci porta in prossimità dell’arrivo. Con la Alice abbiamo un pelo allungato sui nostri due ultimi compagni di avventura, ma appena dopo il traguardo ci riuniamo e complimentiamo a vicenda, veramente soddisfatti di essere finisher. Per lei esordio pulp su questa distanza ma dopo questa non deve più preoccuparsi di nulla.

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Finitaaaaa !!

Dopo 29 ore non ho nemmeno più fame, e nonostante l’organizzazione abbia predisposto un pasto anche per chi arriva alle 5 della mattina come noi, mangio qualche salume e mi bevo una birra, avendo voglia solo di una doccia e qualche ora di riposo. Che puntualmente ritrovo dopo poco grazie alla gentilezza della Giorgia che viene a prenderci in macchina nonostante l’ora non proprio normale. Che giornata !!!

Parafrasando Forrest Gump si può dire che le gare trail siano proprio come una scatola di cioccolatini, non sai mai quale ti capiterà. Questa 90 ha avuto il sapore amaro della fatica dura ma pure il dolce della gratificazione per averla chiusa e tornando alla cabala il 90 mi ha dato consapevolezza; non nei miei mezzi ma sul fatto che se voglio avere qualche chance di chiudere l’Echappee Belle devo migliorare ancora in termini di resistenza e forza in salita. Non sarà facile, ma quando lo è stato ?

LE VOILA’ L’ECHAPPEE BELLE

 

 

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Da qualche anno cerco di concedermi una gara a stagione di “elevato impegno” che mi permetta pure di vedere zone nuove. Dopo la Swisspeaks nel Cantone Vallese dello scorso anno la mia scelta è caduta su “L’Echappé Belle”, una gara che si svolge a fine agosto nel Massiccio delle Belledonne, una catena che si sviluppa tra il distretto francese dell’Isere e quello della Savoia. La distanza scelta è quella della gara “Integrale”, con 144 km 11500 m di D+, ma la caratteristica preponderante del percorso è che pur partendo da 200 m di quota e non superando mai i 3000m, ben 40 km consecutivi si trovano sopra i 2000m e in molti punti il sentiero è molto tecnico per non dire pietraia. E’ pertanto una gara “lenta”, adatta ai vecchietti come me, nella quale la percentuale dei finisher è sempre inferiore al 50% dei partenti che devono chiuderla entro le 56 ore successive allo start. Pur con questi numeri che dovrebbero scoraggiare le iscrizioni, è una delle competizioni più rinomate in Francia tanto che i 700 pettorali disponibili sulla lunga distanza si esauriscono nel giro di poche ore, e finiscono appuntati ai petti dei locals per l’85%, e degli svizzeri o belgi per la maggior parte dei restanti.

Io mi sono iscritto il primo giorno e da una rapida scorsa all’elenco dei “fortunati(?)” partecipanti sembrerei essere l’unico italico. Attraversando di giorno e di notte zone particolarmente impervie e aspre, una grande attenzione viene posta all’aspetto sicurezza, tanto che oltre alle numerose jeep dei soccorsi anche un elicottero è ad esclusiva disposizione dell’organizzazione nei due giorni abbondanti di gara. 12 ristori e 2 basi vita cercheranno di alleviare le fatiche dei concorrenti, e vedremo se dopo non essere stato piegato dalla cucina svizzera riuscirò a superare anche quella francese.

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Di certo quello che ho notato è una cura maniacale al roadbook, tanto da non aver mai visto una illustrazione tanto dettagliata del percorso. Ogni singola salita o discesa è catalogata in base alla difficoltà ed ogni segmento è descritto per lunghezza e quota di salita e discesa, oltre che dal fondo.

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Esempio del dettaglio del roadbook

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Altra cosa presente nel regolamento che non ho mai trovato in nessuna altra gara è il fatto che, in condizioni particolari (maltempo, nebbia, ecc..), i responsabili di un ristoro possono richiedere agli atleti di uscire in gruppo di 2-3 persone, e tale gruppo deve rimanere unito fino a nuove disposizioni (“In case of very intense fog, the safety control post will give instructions to move forward by small group). Per quanto concerne i tempi, le indicazioni dell’organizzazione sono “Multiply by 1.5 to 2 the time you put on that distance on a classic trail!” . Per fortuna, per tranquillizzare chi potrebbe allarmarsi scrivono anche  “All participants are automatically insured for mountain search and rescue costs during the race” e in aggiunta “The pass of Moretan (Col Moretan) is equipped with ropes for the downhill to help the crossing of the firn. Please follow the instructions of the volunteer.” 😊 😊

Ovviamente tutto ciò mi gasa tantissimo (come per tutti, quando si è a casa è bellissimo evocare momenti epici, salvo poi pentirsi quando si è sul posto) e mi spinge a non sottovalutare questa gara. Perciò, sperando di tenere botta col fisico mi aspetta una prossima parte della stagione ricca di dislivello e di uscite su terreni tecnici, grazie alle quali oltre ad allenarmi spero di continuare a trovare lo spunto per la pratica di Trail Running Alpinismo che già lo scorso anno mi ha gratificato parecchio. L’obiettivo è di chiudere la gara ed aver la possibilità di suonare la campana all’arrivo (questa infatti la caratteristica di chi taglia il traguardo) anche a costo di impiegare tutte le 56 ore messe a disposizione dall’organizzazione.

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La campana dopo il traguardo

Se devo darmi un target direi tra le 45 e le 50 ore, giusto per avere il tempo di tornare a casa per iniziare a lavorare lunedì mattina.

Perciò sursum corda e vive la France, o meglio vive le faisan en France  !!  

BUONA FINE E BUON INIZIO

Non sarei un inguaribile romantico se non indugiassi come tanti al bilancio di fine anno, ovviamente inteso alla pratica del Trail Running e a quanto ruoti attorno ad essa.

Il 2022 per me è stato un anno molto positivo per quanto riguarda la corsa, forse il migliore di sempre, perchè in virtù dell’esperienza sono riuscito ad allenarmi (e molto) e pure a divertirmi (e molto), questo grazie alla diversificazione delle uscite andando a mescolare corsa, escursionismo e alpinismo. Tutto ciò ovviamente quasi sempre assieme a tante persone che mi hanno accompagnato, pur non scordando alcune uscite solitarie che mi hanno aiutato in quella che poi è stata la settimana più solitaria della mia vita; quella della Swisspeaks. Dal punto di vista emozionale ed emotivo quest’ultima rappresenta la gara più bella, difficile ed appagante che io abbia mai intrapreso e sono veramente felice di aver avuto l’idea di provarla, seppur da solo e seppur in ambiente lontano e differente dal contesto italiano. Tutto ciò mi ha allargato le vedute tanto che pure nel 2023 punterò ad una gara all’estero dove probabilmente sarò “solo” in partenza. Senza arrivare a numeri da top runner, il Garmin mi notifica che il 2022 mi ha visto impegnato in 137 attività con 2420 km percorsi, grazie ai quali ho guadagnato un dislivello totale di 117.000 m. La cosa che mi stupisce è la media di 200 km al mese, più di quella di 17,8 km ad uscita. Nessun mese mi ha visto correre per meno di 130 km (e pure questo per me è un record). Se usciamo dall’ottica corsa, sempre il Garmin mi racconta di 5.200.000 passi totali (una media di 13.895 al giorno), che mi hanno permesso di percorrere 4400 km (12 km al giorno) a piedi nel 2022. Non faccio l’ambientalista e tralascio il calcolo di CO2 risparmiata rispetto ad averli percorsi in macchina.

Ed ora i propositi per il 2023: innanzi tutto spero di rimanere sano e divertirmi. Ho pensato a 6 gare nuove, grazie alle quali andare a vedere alcune zone mai visitate (Chianti e Alpi Giulie), ritornare in zone già viste ma con gare nuove (Val D’Aosta e Prealpi Trevigiane) e una puntata in Francia nella zona della Savoia se riuscirò ad essere iscritto. Cercherò inoltre di continuare la buona pratica delle uscite di Trail Alp, e dopo Presanella, Adamello, Bureloni e Cima Scarpacò salite negli scorsi anni, spero di girare altri 3000 delle Dolomiti e delle Alpi e togliermi qualche soddisfazione anche in questo ambito. Se qualche Fagiano avrà idea di chiudere i conti con qualche gara in Valdaosta in sospeso o altri vorranno andare a provare la stessa gara, farò di tutto per andare a tifarli. E con questo ultimo proposito auguro a tutti un anno di corse fantastiche, grazie alle quali si rendano necessari ettolitri di birra per togliersi la sete e festeggiare vittorie e lenire sconfitte. L’importante, come diceva “il maestro” in una sua famosa canzone è lasciare che l’animale che è dentro di noi ci renda schiavo della nostra passione, qualunque essa sia, trail o figa. O entrambe

 

LA BILOCAZIONE FAGIANA

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La bilocazione è un dono mistico di origine sovrannaturale e che Dio dona di sua scelta, libera ed incondizionata, alle anime da Lui elette. Non è la persona in sé a decidere se avere o meno questo dono, è Dio a scegliere liberamente a chi inviare questa facoltà particolare, mistica, sovrannaturale. La bilocazione è essere contemporaneamente presenti in due posti nello stesso istante del tempo e chi ce l’ha è consapevole sia di averla che di essere in luoghi differenti simultaneamente quando la usa.

Tutto questo per annunciare che, a differenza di quanto occorso in passato a figure dotate di bilocazione quali San Pio da Pietrelcina o Sant’Antonio da Padova (che si racconta fosse simultaneamente in una chiesa a officiare la liturgia e in un convento a chilometri di distanza a dirigere il coro), le cui apparizioni non erano pianificate o previste, il giorno 01/06/2023 si assisterà ad un fenomeno di gruppo, grazie al quale chi vorrà potrà essere bilocalizzato in base alle sue capacità e volontà, grazie a tutte le migliaia di invocazioni che i Fagiani hanno rivolto al Creatore durante le uscite e in ogni incontro di natura enogastronomica.

In tale frangente pertanto, partendo di sera dalla Palazzina Turcato e salendo al passo Tre Croci con successiva discesa dalle Molesse e ritorno alla Palazzina, tutti i partecipanti potranno essere bilocalizzati su:

  • MONTE BIANCO (4810 m) con 9 giri di percorso e 38 km di distanza
  • LISKAMM – MONTE ROSA (4272 m) con 8 giri di percorso e 33 km di distanza
  • GRAN ZEBRU’ – ALTO ADIGE (3732 m) con 7 giri di percorso e 29 km di distanza
  • GRAN VERNEL – MARMOLADA (3208 m) con 6 giri di percorso e 25 km di distanza
  • PIZ DELLA FORCOLA-ALPI LEPONTINE (2675 m) con 5 giri di percorso e 21 km di distanza
  • DOSS D’ABRAMO – BONDONE (2133 m) con 4 giri del percorso e 16,5 km di distanza
  • GRAN MONTE – PREALPI GIULIE (1608 m) con 3 giri del percorso e 12,5 km di distanza
  • MONTE TRE ABATI – APPENNINO PIACENTINO (1072 m) con 2 giri del percorso e 8,5 km di distanza
  • TORRE CTF FINANCE CENTER – GUANGZHOU (530 m) con 1 giro del percorso e 4,2 km di distanza

Per certificare l’avvenuta bilocalizzazione ognuno alla fine dei giri dovrà esibire un prodotto (meglio cibo o beveraggio) tipico della zona dove si è trovato (ad esempio del Genepy per il Monte Bianco).

Per tutti i dettagli relativi a tempi e modi facciamo riferimento a quanto verrà comunicato in futuro, ognuno nel frattempo pensi a dove vorrà essere bilocalizzato e si prepari per quello. E’ chiaro che a prescindere da ciò alla fine dell’evento tutti concluderemo con la liturgia della birra e del prosecco, che tanti fedeli richiama sempre tra le fila dei trail runner, curiosi di vedere se qualcuno riuscirà ad essere simultaneamente alla Palazzina Turcato a scolarsi qualche bicchiere e al contempo altrove.

CORSA PER LA VITTORIA

Corsa per la vittoria

Ci sono alle volte delle fortunate coincidenze che portano insperati esiti positivi, e tra queste metto il fatto di essermi scordato di prendere con me un libro in occasione di un recente viaggio di tre giorni, ragion per la quale mi sono trovato nella necessità di reperire un titolo che accompagnasse i momenti in stanza dell’hotel. Sono pertanto entrato in una libreria e per non fare attendere chi mi aspettava fuori ho scelto nella sezione dei libri a carattere sportivo un titolo che recitava “Corsa per la vittoria”, con la dicitura in basso “il miglior romanzo sulla corsa mai scritto”. Francamente me ne sono pentito un minuto dopo averlo acquistato, ma essendo ormai in mio possesso ho iniziato a leggerlo la sera stessa e….mi è proprio piaciuto !!

Il libro è del 1978, cosa che si desume anche dalla traduzione del più sobrio titolo originale, Once a runner. Negli anni 80 la linea editoriale di film e libri riteneva che gli italiani necessitassero di interpretazioni particolari nella traduzione dall’inglese, e questo libro non fa eccezione. L’autore, l’americano  John L. Parker jr., racconta uno spaccato di vita di una college americano (la Southeastern University) ed in modo speciale le gesta di Quenton Cassidy, un giovane ambizioso che a causa di contingenti eventi si trova un po’ per scelta ed un po’ suo malgrado a dover tentare di essere un campione.

La narrazione è piacevole, con una serie di aneddoti che accompagnano la vita del runner e con il racconto dei vezzi e delle manie di chi pratica lo sport ad altissimo livello senza essere un professionista (a quel tempo che faceva atletica in ambito universitario non poteva avere nemmeno uno sponsor).

L’ho trovato un romanzo (perché è romanzo, non un biografia) ben scritto, privo di retorica eroica pur mettendo in risalto i sacrifici necessari ad emergere in un mondo competitivo come quello dell’atletica. Illuminante infine il contrasto tra il trattamento riservato ai giocatori di Football Americano, considerati semidei e quello riservati ai runner, quasi contorno al mondo sportivo universitario “football e basket centrico”.

Lo consiglio pertanto caldamente, pur essendo conscio che almeno tre quarti dei Fagiani Imprendibili non sappia leggere.

Swisspeaks vol. 8.2

Dispiaciuto per Beto devo tornare a pensare al mio destino e per me il futuro prossimo riserva un’abbondante dose di fango e pioggia e pure l’amarezza di non vedere niente attorno, nemmeno quando attraversiamo delle affilate creste di montagna che lascerebbero immaginare anche di notte dei paesaggi fiabeschi. Invece c’è solo melma e acqua, tanto che pur di farmela passare mi accodo ad una strana coppia che sta correndo la 100K (pertanto nelle retrovie, per cui tengo il loro passo) composta da un orientale (giapponese?) che emette dei rumori strani e da una tedesca, che per mia fortuna sono obbligati a parlare in inglese tra loro. Dalle frasi che scambiano capisco subito che il tizio deve essere un tordo mica da ridere, mentre lei sembra mettere assieme almeno due tre ragionamenti di senso compiuto. Ovviamente mi faccio anche un trip secondo il quale lui stia tentando l’approccio ma quando la ragazza si gira e la inquadro bene in viso non riesco a non pensare che sia tra le cinque donne più brutte che io abbia visto. Lei parla anche di un “husband” che la aspetta al traguardo e io faccio mentalmente a lui i complimenti per tanto coraggio. Per fortuna in mezzo a pensieri così politicamente scorretti arriviamo al secondo ristoro, lo “Chalet de Blansex” che di chalet non ha niente almeno per noi, che siamo relegati sotto un tendone. Smette un attimo di piovere per cui dopo essermi mangiato un paio di raclette riesco a sedermi attorno ad un bel falò che hanno acceso all’aperto e mi asciugo i vestiti. Passa in quel momento anche Roberto da Treviso ma si ferma un attimo e riparte così per l’ennesima volta lascio il ristoro da solo, consapevole che per me si avvicina l’ora della solita botta di sonno ingestibile. Per fortuna in questo tratto non ci sono sentieri ripidi ed anzi dopo uno scollinamento mi ritrovo su una bella poderale. E’ l’alba e non piove più, la pendenza è regolare ed inizio a corricchiare e……mi addormento. Corro addormentato e nel subconscio sono pure felice anche se nel fondo della mente sento di aver scordato qualcosa. Ma la strada è bella, e io vado, trottando nel dormiveglia e mi piacerebbe vedermi da fuori in quel mentre. Poi d’un tratto, ormai in fondovalle in corrispondenza di un ponte sbarro gli occhi e inchiodo sui due piedi. Mi è venuto in mente cosa non andava: le balise !!!! Da quando corro in discesa da assopito non ho più controllato i nastri ed ora non ne vedo nelle vicinanze. Mi viene da piangere e dandomi a voce alta del coglione inizio a tornare sui miei passi in salita, sperando di trovarne presto una. Passerà invece mezz’ora durante la quale incontro anche due americani su un furgone talmente dispiaciuti per me da offrirmi un passaggio indietro ma so che rischio la squalifica pertanto ringrazio e rifiuto. Finalmente in corrispondenza di un bivio ritrovo le bandierine (che erano segnate perfettamente peraltro) e ritorno sul giusto sentiero che in breve riporta su un altro sterrato in salita. Percorro la strada e nonostante la disavventura di poco prima devo essere veramente lesso, perché ad un certo punto dopo un tornante vedo delle balise sulla sinistra e prendo un sentiero in discesa. Per fortuna dopo poco incrocio un tizio che mi avverte che sto andando in senso contrario. Ribatto mostrandogli le bandierine che le sto seguendo ma lui mi dice di essere abbastanza sicuro che si vada in senso opposto, aggiungendo anche che è il tracciatore di quella parte di percorso. Capisco subito dove è l’errore: ho saltato una deviazione (scurtolo) sulla strada principale e quando ho trovato il punto in cui si immetteva nuovamente sulla sterrata l’ho preso nel verso sbagliato. Per fortuna stavolta la mia sbadataggine mi costa poco, così in breve arrivo al ristoro posto in un luogo incantevole dove un laghetto è contornato da chalet bellissimi: Taney.

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La splendida Taney

Al ristoro sono tutti gentilissimi ed il cibo buono. Il fatto che non piova più solleva ulteriormente il morale per cui approfitto dell’atmosfera bucolica per prendere uno sdraio rotto messo in disparte e rilassarmi un attimo. Dopo pochi istanti la tela sotto il sedere si strappa e mi ritrovo col culo per terra e la schiena appoggiata allo sdraio. Non muto nemmeno espressione e sotto lo sguardo divertito dei volontari mi godo una decina di minuti di totale relax. Quando riparto vengo avvicinato da due concorrenti della lunga che incredibilmente parlano inglese (sono belgi) e altrettanto incredibilmente per educazione discutono in tale lingua per permettermi di partecipare ai dialoghi. E’ la prima volta da quando ho lasciato Fabiano che posso camminare e scambiare quattro chiacchiere con qualcuno e in poco tempo iniziamo a scherzare e a confrontarci sulle varie parti del percorso che ci hanno colpito maggiormente. Ad un certo punto la strada torna a salire ed uno dei due si stacca, mentre io e l’altro, Adrien, continuiamo assieme come vecchi amici. E’ un appassionato di scialpinismo e arrampicata perciò possiamo svariare negli argomenti, tanto che arriviamo al ristoro successivo quasi senza essercene accorti. Questo sarà l’ultimo ed il fatto di essere ormai prossimi al Lago di Ginevra fa si che i bravissimi volontari offrano del pesce accompagnato con riso e verdurine. E’ favoloso e ne prendo due abbondanti porzioni.

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Che spettacolo !!

Al momento di partire mi viene un po’ di malinconia perché so che sta per terminare questa avventura e che a breve non ragionerò più pensando a distanze, dislivelli e basi vita, ma si tornerà alla consuetudine di tutti i giorni. Copro l’ultima salita della gara quasi di slancio e al momento di iniziare la planata finale verso il traguardo Adrien, che ha grossi problemi alle ginocchia in discesa, mi dice di non aspettarlo e che ci vedremo in fondo per cui inizio a trottare verso l’epilogo della mia Swisspeaks che dista ormai solo un pugno di chilometri, più a valle, con i concorrenti della 42k partita qualche ora prima che iniziano a superarmi. Corricchio quanto posso, arrivando addirittura a superare uno della 360K che mi guarda malissimo e giungo infine sul lungolago dove in fondo al pontile si trova il traguardo. Mi sento chiamare e sono Sandrine e Philippe che già arrivati si stanno sbracciando ad applaudire chi arriva e nell’indifferenza del resto della Svizzera varco il traguardo non venendo nemmeno menzionato dallo speaker, intento a elogiare il 50mo arrivato della gara Marathon. Francamente mi frega poco, penso solo a levarmi le scarpe (è tornato il male alla caviglia probabilmente legato al fatto che nell’ultima tappa non ho preso l’OKI che mi concedevo) e a prendere una birra, poi, rigorosamente all’interno della zona d’arrivo mi siedo su masso in riva al Lago e mi concedo due minuti di totale compiacimento, sorseggiando con voluttà la mia meritatissima bionda.

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Finalmente un po’ di relax !!

Poi, dopo aver scritto qualcosa a casa e sul gruppo tifosi mi inizio a rimpinzare di crepe e birra, che finchè resto all’interno della zona arrivo sono gratis, per poi costare 8F appena varcata la transenna. Aspettando Adrien perdo il conto di quante ne sorbisco, e quando arriva lui ricomincio da capo. Mi fa una foto sotto al traguardo e spendiamo un po’ di tempo assieme anche se non parliamo molto, quasi svuotati alla fine di questa lunga avventura.

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Espressione più stupida del solito

Dopo un po’ saluto e vado a recuperare l’auto, e prima di trovare il mio B&B ho anche la forza di andare a comperare birra e schifezze in un supermercato. Preso possesso della mia camera (minuscola e a dir poco….minimale) vado nel bagno in corridoio a fare la doccia e mi devo pure vestire per uscire, in quanto il buono pasto che ci hanno consegnato è spendibile in uno degli stand sul Lungolago nei pressi dell’arrivo. Sono però vicino e a piedi vado a prendermi una pizza da asporto che mi porto in stanza e che mangio in beata solitudine. Mi metto in pari coi messaggi e mangio un po’ di porcherie, poi inizio ad essere stanco e per tutta la notte mi addormento e mi risveglio con una certa ciclicità. La mattina dopo colazione faccio due passi attendendo la premiazione, anche se non posso infilarmi la scarpa destra in quanto la caviglia è ormai andata a farsi benedire.

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Il caviglione

Vorrei partire subito ma il miraggio del giacchino invernale che da sempre viene consegnato ai finisher mi trattiene. Mi reco al molo dove trovo Adrien e dove vedo anche gli altri finisher, e ci si guarda tutti con ampi sorrisi, come dei reduci che l’abbiano in qualche modo scampata.

Sandrine
Alla premiazione sembra che tutto sia stato facile….

Per fortuna la cerimonia di premiazione è più corta rispetto al TOR e dopo la foto di rito sul palco con tutti gli altri, mi fiondo all’auto e inizio il lungo viaggio di ritorno verso l’Italia e verso casa, con un pisolino in Autogrill dopo Aosta, giusto per l’ultima volta come ricordo della settimana trascorsa. L’avventura è finita, avrò modo di pensare a fondo ai giorni passati, per ora sono solo contento di essere riuscito a portare a termine questa gara. Adesso sono uno Swisspeaker, che è tutto quello che volevo al momento della partenza.